Roma, baraccopoli del Foro Italico: ecco la collina dei rifiuti

Roma, baraccopoli del Foro Italico: ecco la collina dei rifiuti
di Elena Panarella
3 Minuti di Lettura
Venerdì 27 Aprile 2018, 07:51 - Ultimo aggiornamento: 08:13

Una vera e propria collina dei veleni che si affaccia sulla città, a un passo dalla Tangenziale (tra la Flaminia e la Salaria). Tanto alta da sovrastare persino le baracche del campo rom, quello del Foro Italico. Nel dirupo che guarda il Tevere c'è qualunque cosa: carcasse di mobili, vestiti ridotti a stracci, materassi, giochi per bambini, libri, sacchi di cibo rancido, rottami di auto, bottiglie di plastica e barattoli colorati. Una montagna di rifiuti che domina incontrastata l'entrata dell'accampamento (fatto di roulotte e abitazioni autocostruite in legno e cartone che ospitano decine di famiglie). Un colpo d'occhio impressionante. A distanza di mesi «c'è stata una crescita esponenziale», spiegano i residenti. In effetti a guardare bene è sconvolgente. Anche qui si brucia qualsiasi cosa. Così come accade in altre zone della città, realtà accomunate dagli stessi elementi: immondizia, discariche a cielo aperto che tolgono letteralmente il respiro. E non sono fuochi fatui a bruciare, ma copertoni e rifiuti di ogni genere. Il risultato poi, è sempre lo stesso: «Occhi infiammati, polmoni e respiro affaticati».
 

 


L'AMBIENTE INQUINATO
Anche il paesaggio è cambiato: nel terreno ormai hanno messo radici quintali di tubolari di plastica rigida. Sì, proprio plastica che in tutto questo tempo sta contaminando l'ambiente diventando un tutt'uno con la vegetazione. «Si tratta di quei cavi rigidi utilizzati per contenere e raccogliere i fili di rame - spiega Carlo C., che abita in linea d'aria poco distante - Non c'è dubbio che la plastica costituisca la maggior parte dei rifiuti solidi che finiscono nel fiume, purtroppo di questo si parla poco. Perfino le associazioni ambientaliste non hanno dati sulle quantità. Le stime sono imprecise, fatte su piccoli tratti».

FAVELAS ILLEGALI
Metri cubi di rifiuti e plastica che si sono impossessati ormai di questo fazzoletto di terra. E così, oltre agli otto villaggi della solidarietà autorizzati e finanziati dal Comune, ribattezzati con il nome dei quartieri che li ospitano: Lombroso, Candoni, Gordiani, Cesarina, Camping River, Castel Romano, Salone, La Barbuta, ci sono i cosiddetti tollerati (solo perché sono lì da anni), ma che poi tanto tollerati non sono. Favelas senza controllo e abbandonate a se stesse. Insomma una fotografia, quella degli accampamenti abusivi, che risulta sempre più mossa, perché ci sono oltre duecento micro e medi insediamenti che appaiono e scompaiono continuamente dal centro alla periferia. Qualche numero per rendere l'idea: prima dell'estate 2017 sul territorio romano risultavano poco più di 8 mila nomadi; di cui quasi sei mila censiti con nome e cognome, nei campi (più o meno) controllati dal Campidoglio; e molti altri sparpagliati qua e là. Oggi due, tre mila anonimi sono sparsi in accampamenti spontanei. Anche se poi quello che affligge gli abitanti sono sempre «quelle maledette nuvole di fumo denso che avvolgono ogni giorno le case». L'area è irrespirabile, con l'arrivo della bella stagione «la situazione puntualmente precipita». «Stanno inquinando l'aria», è il grido d'allarme dei residenti. «Ma nessuno interviene».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA