Sturpi a Roma, i consigli della Polizia su come difendersi: «Mai reagire con i violenti, bisogna urlare e fuggire via»

Sturpi a Roma, i consigli della Polizia su come difendersi: «Mai reagire con i violenti, bisogna urlare e fuggire via»
di Maria Lombardi
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Mercoledì 13 Settembre 2017, 08:40 - Ultimo aggiornamento: 09:15
«La vittima di uno stupro difficilmente reagisce. In quel momento capisce che sta rischiando la vita e qualsiasi mossa può scatenare ancora più violenza. Lui è più forte e spesso armato. Lei può urlare, provare a scappare. Ma niente di più. Se non si ha davanti un uomo esile e non si è una campionessa di boxe, la non reazione è un modo per salvarsi».

Alessandra Schillirò è la dirigente della quarta sezione della squadra mobile di Roma, si occupa di reati sessuali contro le donne e i minori. È stata lei, «con la collaborazione dei colleghi del commissariato Viminale», diretto da Giovanna Petrocca, ad arrestare il bengalese che ha violentato in centro la ragazza finlandese di 20 anni.

Lei però ha provato a reagire.
«Sì, in un primo momento ha urlato e lui l'ha colpita con una pietra. Poi ha tentato di fuggire e lui l'ha picchiata sul petto e sul braccio. La minacciava: se ti muovi, scappi o gridi, ti ammazzo. A quel punto la ragazza, come ci ha raccontato, ha pensato: forse è meglio che sto ferma, così mi salvo la vita. Ho conosciuto il terrore, ci diceva. La paura pietrifica, immobilizza».

Però c'è stato il caso della sedicenne che a Montesacro ha ferito con un coltellino l'uomo che la voleva violentare e si è salvata.
«Un caso unico. Quasi tutte le vittime di cui mi sono occupata hanno adottato la strategia dell'assecondare. Dopo un primo tentativo di reazione, hanno desistito per paura di morire».

Cosa devono fare allora le donne per proteggersi dalle violenze?
«La migliore difesa è la prudenza. Possono sembrare suggerimenti banali ma non lo sono. La notte non muoversi mai da sole e quando si può con la propria autovettura. Non accettare mai passaggi da sconosciuti. Se si ha la sensazione di essere seguite chiamare le forze dell'ordine e nell'attesa entrare in un bar o in un locale per chiedere aiuto, fermare i passanti».

E nel caso ci si trovi comunque in una situazione di pericolo?
«Urlare, provare a scappare, ovviamente. Ma non consiglierei l'uso della forza, potrebbe mettere a rischio la vita. L'uomo è sempre più forte, potrebbe avere un'arma. In quattro anni di attività in questa sezione non mi è mai capitato uno stupro commesso da una donna e non penso mi potrà capitare».

Cosa possono fare le vittime per collaborare nelle indagini e rendere più facile la cattura dello stupratore?
«Subito dopo la violenza chiamare le forze dell'ordine. La poverina non deve fare niente, nemmeno lavarsi i denti. Si deve affidare e deve fidarsi degli investigatori, anche se in quel momento non è facile. Dopo un stupro ritrovare la fiducia è la difficoltà più grande. Siamo noi ad accompagnarle in ospedale e lì comincia il percorso previsto dal protocollo rosa. Altra cosa importante, è raccontare tutto, anche i dettagli più insignificanti. Al finto poliziotto che aveva violentato una sedicenne un paio di anni fa siamo arrivati perché lei ci aveva raccontato di averlo visto arrivare in bicicletta».

In che percentuale di casi gli stupratori vengono arrestati?
«In questi ultimi quattro anni li abbiamo risolti tutti. L'ultimo, quello della ragazza finlandese, l'abbiamo risolto incrociando i dati in ufficio con le testimonianze raccolte in strada dai colleghi del commissariato».

Qual è il profilo dello stupratore?
«Nella maggioranza dei casi sono italiani e incensurati. Li immaginiamo come reietti della società ed esclusi. Non è così, tante volte sono persone ben inserite e con famiglia».