Barman dell'Argot morto a Roma, la compagna Mariateresa: «Alla piccola Sofia dirò che principe era suo padre»

Barman dell'Argot morto a Roma, la compagna Mariateresa: «Alla piccola Sofia dirò che principe era suo padre»
di Raffaella Troili
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Sabato 18 Marzo 2017, 08:40 - Ultimo aggiornamento: 20 Marzo, 12:18


«Tanto tempo fa, Sofia, c'era un principe. Era speciale davvero: innamorato della vita, di tutto. E ti ha voluta tanto, forse sei nata in anticipo, alla 34esima settimana, perché potesse vederti pochi attimi e andare via felice. Quel principe era tuo padre». Sofia sarebbe nata ieri, quantomeno «il tempo sarebbe scaduto il 17», il destino ha spazzato progetti, sogni, quotidiana felicità. Sofia è arrivata il 3 febbraio, il padre, il barman Gabriele Simonacci, 28 anni, è morto all'alba del 5 febbraio. E Mariateresa, il grande amore, è rimasta sola, con quella figlia che somiglia al padre, ma non è lui. È arrabbiata con la vita, si addolcisce solo quando parla della figlia e del suo Gabriele.
 

 


Come sta Sofia, la domanda più semplice.
«Lei sta bene. Sto cercando di ricordare e tener dentro tutto quello che voglio raccontarle del nostro grande amore, piano piano, in forma di favola. Quando andrà a scuola, saprà chi era suo padre, la preparerò alle domande che verranno. Un giorno le dirò: ti ricordi quelle bellissime favola di un principe? Era papà. Ci sto pensando già, gliele spalmerò in otto anni. I miei racconti saranno i suoi punti di riferimento. E il motorino, no, non lo avrà».
 
Belli, giovani, abbracciati nelle foto. Una grande storia d'amore.
(gli occhi blu di Mariateresa brilleranno e un poco rideranno complici come fossero quattro, ogni volta che si parlerà di loro)
«È nata 8 anni fa, lavoravamo all'Espargo. Lui 20 anni, io 17. Un colpo di fulmine, tutte le estati la stessa storia, ci ricascavamo, d'inverno avevamo entrambi i fidanzati. Siamo stati insieme 4 anni in via ufficiosa e altri 4 in via ufficiale. Ci siamo sempre rincorsi, cercati e voluti, due nuvole libere. Ne abbiamo fatte di tutti i colori».

Per esempio?
«Eh, bugie grosse, ai fidanzati. Tipo: io stavo con lui a casa, mettevamo la musica a palla e al telefono dicevo che ero in discoteca».

Poi basta bugie.
«Eravamo perfetti, amici e amanti, forse ci hanno invidiato anche lassù. Alla fine ci siamo detti: io voglio Gabri, io voglio Meri. Dopo anni di prendersi e lasciarsi siamo subito andati a convivere, subito progetti: ci dovevamo sposare nel 2015 poi c'è stata l'apertura dell'Argot, abbiamo rimandato, chi ci correva dietro. Intanto abbiamo detto: facciamo un figlio, ci abbiamo messo due anni per avere Sofia, mi svegliava quando erano i giorni fertili. Mi ricordo ancora quando gliel'ho detto quanto era felice. L'altro gemellino l'ho perso subito, forse lei è nata prima per lui».

Quanto è riuscito a vederla?
«Se l'è goduta poco, alcuni secondi appena nata, il 3 febbraio, 40 ore prima della morte. Era nell'incubatrice. Non l'ha mai presa in braccio. Siamo stati cinque minuti noi tre soli: è venuto e mi ha detto Nana se vogliamo vedere Sofia ti devi alzare. Io avevo fatto il cesareo, lui ha allontanato l'infermiera: l'ho voluta io così, me la curo io, mi ha lavata, truccata, cambiato il pannolone, lavato i denti, messo sulla sedia a rotelle. Ero la sua principessa».

E poi non è più tornato.
«Quella notte in ospedale ero agitata, Gabri mi aveva detto: Nana ti lascio la foto di Sofia in camera e la telecamerina puntata su casa per controllare il cane Blu. Così se non dormi, dalle 5,30 ci sono io. Ma io dalle 5,30 ho iniziato a guardarla, non c'era nessuno che entrava in casa, lo chiamavo, non rispondeva, alla fine ho pensato, si sarà addormentato al locale. Più tardi i miei genitori me l'hanno detto: Gabriele era morto, con lo scooter si era scontrato con un taxi a corso Vittorio. Per calmarmi mi hanno portato la bambina e Blu, il nostro cane».

La tua forza è Sofia, ma tu cosa provi oggi?
«Speravo che il dolore durasse di più, la rabbia è arrivata troppo presto, non ho fatto a tempo ad assaporare la vita di una figlia che la vita mi ha messo davanti la morte del mio amore. Non credo agli angeli, non mi compare in sogno, farei un patto col diavolo per rivederlo. Invece quando torno lui non c'è, non torna più, non gli preparo la cena. Non ce l'ho con chi ha causato l'incidente, però gli porto tanto rancore: almeno le condoglianze alla famiglia di Gabriele poteva farle».

E ora: solo un futuro senza sogni?
«Sto cercando di portare avanti i suoi sogni: Sofia, il cane, la sua famiglia, i soci. Ci parlo tanto, spero che mi guardi e si faccia due risate quando esco con il passeggino e il cane, che sia fiero di me. Non è facile: faccio i conti con la camera da letto, la cucina, Sofia dorme con me, volevo essere una mamma rigida, non lo sarò. Non so dire se mi rifarò una vita. Ma invidio le persone di 90 anni: quando ci arriverò so che dirò sempre: finalmente chissà rivedo Gabriele.