La testata costa cara a Spada: sei anni per “metodo mafioso”

di Paolo Graldi
3 Minuti di Lettura
Martedì 19 Giugno 2018, 00:02
Si racchiude in due parole, autentici macigni del codice penale, la condanna a sei anni di reclusione per Roberto Spada, il rom palestrato che voleva ridurre alla ragione, a suon di testate, i cronisti di una troupe della Rai. Due parole: metodo mafioso. Un argomento formidabile per il pm Giovanni Musarò. Ne ha fatto largo uso nella requisitoria, con la richiesta finale di una pena lunga otto anni e nove mesi, poi sensibilmente ridotta dal verdetto del collegio.

Quella esibizione muscolare, imperiosa e selvaggia, a favore di telecamera, perché se ne apprezzasse il contenuto intimidatorio, ad uso di tutti, un avvertimento banale, plateale e insieme esplicito, potente appunto come una testata in pieno viso: “Questo territorio è mio e ci viene chi voglio io, nessun altro”. Ecco, è nel concetto di “possesso pieno e incontrastato” dei luoghi, sottoposti alle regole del clan compresa la violenza punitiva per i trasgressori, gli sfidanti, chi non accetta la sottomissione e chi non si adegua alla soggezione, è in quel concetto che si ricava il metro per misurare, in termini di legge, la pena che aspetta nel carcere severo di Tolmezzo la sbruffonata del giovane Spada. Il quale avrà il tempo necessario per riflettere che il suo gesto da bullo per marcare il controllo del territorio ha segnalato con la potenza delle immagini un comportamento criminale da reprimere come mai si era fatto in precedenza anche davanti a delitti più gravi.

Lui, rampollo di una consolidata famiglia di personaggi dalla solida reputazione criminale che per decenni hanno operato nell’ombra, paga salatissimo quel gesto, sempre di una testata si tratta, che distrugge il naso di Daniele Piervincenzi, cronista Rai, Tg2, accorso a Ostia con il cameraman Edoardo Anselmi, per confezionare un reportage su un quartiere che doveva ricordare Miami e che si è trasformato in una banlieue di frontiera, infiltrata dai clan assetati di potere locale e di soldi rastrellati sulla sabbia del litorale. Come paga il suo complice, Ruben Alvez Del Puerto, anch’esso condannato a sei anni.

Istituzioni latitanti, lasciate senza guida e con gente incapace di una corretta visione politica di sviluppo della zona e mancanza grave di una incisiva azione di prevenzione e di repressione di una malavita sempre più torbida, aggressiva, organizzata in famiglie, autentici potentati criminali, come ha disvelato Alfonso Sabella, magistrato antimafia, prestato alla politica nella giunta Marino.

Con la sua azione determinata e cocciuta Ostia, quartiere di Roma grande come una media città italiana, ha mosso i primi passi verso una riscossa, verso la voglia di legalità. Un’operazione complessa che ha visto alcuni giornalisti in prima linea, alcuni apertamente minacciati tanto da dover essere protetti da una scorta della Polizia.
Questo il contesto nel quale da bullo di periferia, dedito ai bicipiti curati in ogni fibra, Roberto Spada ha cominciato ad accarezzare ambizioni politiche, sedotto dalle falangi di gruppetti di estrema destra, divenuti ambiziosi e vogliosi di aumentare i consensi alle urne delle elezioni locali. Una miscela pericolosa che è divenuta temperie politica e culturale.

Il gioco perverso della intimidazione, del racket, della prostituzione e della droga, ha creato intrecci che sono finiti nel sangue: omicidi, ferimenti, bombe intimidatorie. Piervincenzi voleva documentare una realtà cangiante: accanto ad una popolazione laboriosa, stava crescendo la malapianta dei clan. Il metodo mafioso, appunto.

Il verdetto di primo grado è giunto con sollecitudine considerato che i fatti si sono svolti in autunno, il 7 novembre dell’anno scorso: vedremo se l’impianto accusatorio, cioè quella norma che impone di aumentare la pena edittale da un terzo ai due terzi e non è bilanciabile con le attenuanti verrà confermata dai giudici della corte d’Appello.

In diversi casi i giudizi sono apparsi difformi e quello di secondo grado non sempre assimilabile al precedente. Un dato su tutti, comunque, pone in rilievo questa sentenza: l’azione malavitosa, anche grazie alla muraglia delle costituzioni di parte civile, compreso il Comune e gli organismi della stampa, ha dato vita ad una risposta processuale coraggiosa e compatta.

A un gesto mafioso la legge ha risposto senza farsi attendere né intimidire.
© RIPRODUZIONE RISERVATA