Da fabbro a operatore sanitario: le mani d'oro di Sandro Cantagalli

Da fabbro a operatore sanitario: le mani d'oro di Sandro Cantagalli
di Carla Massi
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Sabato 9 Giugno 2018, 08:23
Alessandro Cantagalli, 53 anni, per tutti è Sandrone. Mole imponente, sorriso rassicurante, mani che possono essere piuma e possono essere ferro. Sandrone è nato a Boccea e vive a Primavalle. Con la moglie Paola e i figli Simone e Luca. In quella zona tutti conoscono gli ostacoli che ha superato per costruire la sua vita. Da quando, dopo la terza media, è stato costretto ad abbandonare scuola e sport per portare i soldi a casa imparando a fare il fabbro, fino ad oggi. È operatore socio sanitario nel reparto rianimazione del Policlinico Gemelli e, negli ultimi anni, si è diplomato in shiatsu. «Per trattare gratuitamente, in parrocchia, anziani e meno anziani non abbienti e piegati dai dolori», racconta.

Sandrone, che voleva fare da grande?
«Mi piaceva sia studiare che fare sport. Ero bravo a baseball, giocavo nella Lazio, dovevo andare al Nettuno. Ma tutto si è fermato. Eravamo quattro figli, dovevo guadagnare».

Ha potuto scegliere che cosa fare?
«Macché! Un fabbro, costretto sulla sedia a rotelle, aveva la bottega vicino a casa. Disse ai miei che mi poteva prendere. E, così, sono andato lì».

Le piaceva?
«La fame ti fa imparare a fare tutto. Giravo ovunque, nei cantieri, nelle aziende. Finché entrai nel gruppo della manutenzione al Policlinico Gemelli».

Come è successo che dalla bottega del fabbro è arrivato al reparto rianimazione?
«Lavorando in ospedale mi sono reso conto che volevo ricominciare a studiare. Desideravo avere un rapporto diretto con i malati. Di giorno montavo porte e finestre, di notte stavo sui libri».

Finché ce l'ha fatta
«Sì, non si può immaginare la mia gioia. Un piccolo riscatto. Ho passato tanti reparti, fino ad arrivare a questo guidato da Massimo Antonelli, direttore dell'Istituto di Anestesia e rianimazione dell'Università Cattolica».

A quel punto ha buttato pinze, martelli e chiodi alle ortiche?
«Ma no. Se sei fabbro, lo resti per tutta la vita!».

Poi, improvvisamente, lo shiatsu?
«Desideravo fare qualcosa per alleviare il dolore a chi i soldi non ce l'ha. Perché so che vuol dire. Lo shiatsu mi sembrava la strada giusta. Ho cominciato a seguire i corsi, di nuovo lo studio, di nuovo gli esami all'Accademia italiana shiatsu do e l'iscrizione all'Apos, l'associazione professionale».

La parrocchia le ha aperto le porte?
«Quella nostra a Primavalle, Santa Maria della Salute. Padre Angelo ha accettato la proposta, ha messo a disposizione uno spazio e, quando posso, tratto coloro che mai e poi mai potrebbero pagare».

Solo anziani?
«Lo shiatsu va bene da zero a novant'anni. È una pratica manuale manipolatoria che stimola, nel ricevente, un processo di autoguarigione. Parliamo di piccole pressioni, nulla di traumatico. Mai, sia chiaro».

Siete sdraiati su tatami, quindi?
«Certo sdraiati a terra tutti e due»

Come è stato accolto lo shiatsu? Scetticismo? Fiducia?
«Gli uomini fanno una grande fatica a lasciarsi toccare. Si bloccano, diventano di marmo e non ce la faccio a lavorare come vorrei. Le donne, invece, una volta capito il trattamento riescono anche a seguire quello che spiego».

Lei spiega l'antica medicina giapponese?
«Per arrivare al benessere devi fidarti, affidarti ma anche capire che cosa sta facendo l'altro. A volte bastano due pollici per togliere il dolore. Tutto qui».
 
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