Romani come noi/ Desirée: «Alleno i pulcini, il calcio dovrebbe essere più rosa»

Romani come noi/ Desirée: «Alleno i pulcini, il calcio dovrebbe essere più rosa»
di Raffaella Troili
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Sabato 3 Marzo 2018, 08:24 - Ultimo aggiornamento: 08:44
Mister Desirée è bionda, minuta e fa il mister. Qual è la cosa più brutta che le hanno detto?
«Ma va a fa' il sugo, la domenica, invece di venire qua, lo fai meglio. Stavo a Segni, ancora rido. Poi con quei papà sono andata a prendere un caffè, tutto passato. Ma è difficile farsi accettare in un ambiente così difficile, mascolino, italiano».

Quale lo scoglio più duro?
«Non puoi abbassare la guardia un attimo, devi sempre dimostrare di essere competente, il migliore. Per gli uomini non è così, anche un mediocre resta sempre un tecnico».

Però non molla?
«Alla fine ho sempre trovato il modo di farmi accettare e far capire che ero brava. Dal 2007 sono istruttore scuola calcio Figc e dal 2010 Uefa B. Ho sempre allenato scuole calcio maschili, categoria pulcini».

Una passione antica
«Io giocavo sotto casa a pallone con gli amichetti poi pian piano mi sono avvicinata al calcio a 5 femminile ma forse è meglio allenare. Con Luciano Capitani della Polisportiva Ciampino ho imparato a diventare un tecnico: non tutti possono allenare, bisogna vedere le sfaccettature dei bambini e analizzarle. Insegnare il calcio a 360 gradi, formare un uomo, un essere umano mi piace, crescono a livello intellettivo, capiscono i valori dell'etica calcistica».

I bambini come reagiscono all'inizio?
«Te vedo scioccato gli dico... E loro: ma che sei femmina? E io: ma perché vuoi vedere come palleggio io e come palleggi tu? Poi mi accettano, mi cercano, scatta la complicità».

Il problema sono gli adulti?
«I tecnici rosicano, non ci stanno a perdere con una donna, specie quelli più anziani. Per non parlare dei genitori: non mi piacciono le grandi aspettative che riversano sui bambini, non tutti possono diventare campioni».

Scalpitano sugli spalti?
«Molti li mandano a scuola calcio per diventare campioni, non per imparare. Il bambino viene per divertirsi, imparare a giocare. Sa quando è fico? Quando assimilano un gesto tecnico e lo rifanno, ti guardano orgogliosi. Sa qual è la cosa più bella del lavorare coi bimbi? Il lasciare un pezzo di te in ognuno di loro. Il loro sorriso in campo quando si sentono dire bravo mi entusiasma. Mi spezza il cuore vederli piangere negli spogliatoi per non aver giocato bene...».

Sono deliziosi, i grandi meno...
«Dipende, a Frosinone a fine partita, scattava la domanda: mister, dove andiamo a mangià? Ci vuol tempo per costruire rapporti. All'inizio dicevano: ma che ci vai a fare, sta a casa, sei femmina, nessuno ti darà fiducia. Più fanno così e più mi incaponisco, ho studiato, sono stata una delle prime del mio corso di uomini. Il mio sogno? Tornare al professionismo con una squadra della mia città, e sempre con i bambini, che sono il mio regno, con loro mi diverto tanto. In una trasferta a Torino hanno dormito in 12 nel letto con me. Sarà stato l'istinto materno».

Come li conquista?
«Piano, piano, esempio chiedo: Jacopo, serve una mano, entro in campo? Prima dicono di no, poi quando sono in difficoltà ti chiamano, vedono che segni 5 gol e ti convocano sempre. Il mio scopo è dar loro l'opportunità di fare scelte all'interno di una gara e di sognare. I sogni li rendono liberi, vogliosi di imparare e di fare, riesce a uscire il loro estro che spesso la vita non permette loro di esprimere».

In Italia siamo tutti mister, lei, per giunta donna, scende in campo con questo spirito nei peggiori campi di periferia?
«Nel calcio devono esserci più donne, ora iniziano ad avvicinarsi, la Federazione l'ha imposto. Ma sono ancora viste come marziani: invece una esce e magicamente si mette un tacco e riprende le sembianze femminili. È uno sport per tutti, non per maschi, ma ci vuole tempo per cambiare questa cultura».

Vive di questo?
«No, lavoro in un call center, addetta al servizio clienti di una banca. Poi scappo dai miei Pulcini».
 
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