Federico Colosimo, capitano della Lazio pallanuoto: «La mia forza è una squadra de' noantri»

Federico Colosimo, capitano della Lazio pallanuoto: «La mia forza è una squadra de' noantri»
di Andrea Nebuloso
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Sabato 17 Marzo 2018, 09:55 - Ultimo aggiornamento: 18 Marzo, 12:43
Federico Colosimo, 29 anni, è il capitano della Lazio pallanuoto, squadra composta da soli romani. Tra l'altro è anche l'unica formazione di serie A in Italia, di tutti gli sport, ad essere composta da giocatori provenienti dalla stessa città.

«La nostra rosa è composta da 14 giocatori, tutti della Capitale. Io da tre anni sono il capitano e sento il peso di questa responsabilità soprattutto in questo momento che, dal punto di vista economico, è abbastanza critico. Le istituzioni ci hanno abbandonato e dopo il basket e la pallavolo, a Roma, rischia di morire anche la pallanuoto. Basti pensare che noi sopravviviamo solo grazie ai ricavati della nostra storica piscina, in via Giustiniano Imperatore, alla Garbatella».

Pur giocando nella Lazio, potresti essere definito il Totti della pallanuoto?
«Da un punto di vista tecnico sicuramente no, ma come attaccamento ai colori è un paragone che accetto volentieri. A questa cosa ho pensato soprattutto l'estate scorsa: ho ricevuto un'offerta molto vantaggiosa da un'altra squadra. Alla fine però ho deciso di rimanere: penso che il Capitano non debba mai abbandonare la nave soprattutto se questa, senza di te, rischia di affondare. Ho sentito tutto il peso di rappresentare la Capitale nel mondo della pallanuoto. Lo dovevo ai miei compagni che ogni giorno come me si allenano per sei ore, senza essere sicuri di prendere neanche un rimborso spese a fine mese».

Oramai siete come una grande famiglia?
«Sicuramente. Essere nati e vivere tutti nella stessa città crea un legame particolare. Ognuno di noi condivide con il suo compagno di squadra le gioie, le delusioni e i problemi quotidiani. Si crea un rapporto che va al di là del campo, ma porta i suoi frutti in vasca. Le racconto un aneddoto: quest'anno ci siamo iscritti al campionato per il rotto della cuffia. Tutti ci davano come la squadra candidata alla retrocessione. Bene, dopo più di metà campionato siamo a tre punti dai play-off. Solo un vero gruppo è alla base di questi miracoli sportivi. C'è chi per giocare compie dei veri salti mortali. Io oramai sono abituato a girare sempre con la borsa degli allenamenti. Anche con l'allenatore, Claudio Sebastianutti, c'è un rapporto particolare. Era il capitano della squadra quando, a 17 anni, ho esordito per la prima volta in serie A. Il figlio lo scorso settembre è stato il paggetto al mio matrimonio».



A proposito di matrimonio, i ben informati sostengono che il vero campione in casa è tua moglie?
«Hanno perfettamente ragione. Mi sono sposato con Mariangela Perrupato, che da 14 anni fa parte della nazionale italiana di nuoto sincronizzato. Ha già disputato due Olimpiadi e ha vinto due medaglie mondiali. Ora spettiamo una bambina. Ci siamo conosciuti in acqua, al Foro Italico: io entravo in vasca quando lei finiva l'allenamento della mattina. L'ho conquistata portandole un vassoio di cornetti alla Nutella fra un allenamento e l'altro. Lei era abituata a mangiare una barretta».

Come ti sei avvicinato alla pallanuoto?
«Seguendo mio fratello Francesco. Lui ora gioca in serie B con C.C. Lazio. I primi allenamenti li ho fatti nella piscina dentro lo stadio Flaminio, dove c'era Franco Sardellitto, il Carlo Mazzone della pallanuoto romana. Di giorno aveva un banco di macelleria al mercato di piazza Vittorio. Il mio maestro però è stato Formiconi. Grazie a lui sono arrivato alla Lazio e ho amato davvero questo sport. Devo anche ringraziare i miei genitori per la pazienza. Mia madre ogni sera alle 11 mi aspettava che terminavo gli allenamenti nella piscina del Coni.

Quindi non vedi un futuro roseo per la pallanuoto romana?
«Se devo essere oggettivo purtroppo no. Ma poi il sabato alle nostre partite vedo sugli spalti talmente tanti bambini delle giovanili che penso che forse una speranza ancora c'è. Il futuro di questo sport sta tutto nelle loro mani. Io da Capitano ho il compito di dare il buon esempio».
 
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