Dalla villa a Nizza a Torrespaccata, Don Stefano: «il mio lusso, la fede»

(Foto di Fabio Lovino)
di Raffaella Troili
3 Minuti di Lettura
Domenica 25 Marzo 2018, 10:33 - Ultimo aggiornamento: 10:34
Dalla Costa Azzurra a Torrespaccata. Sguardo lesto e tormentato di chi vorrebbe rivoltare tutto. È appena tornato da un incontro con l'assessore Montanari per il risolvere il problema degli sfasci, dei roghi tossici che affliggono il quartiere. Anche la sua, di famiglia, ha rivoltato, tanto tempo fa, lasciandosi alle spalle genitori architetti, non praticanti, feste in villa, a San Paul de Vence. Don Stefano Cascio da Nizza, 39 anni, parroco di San Bonaventura, r moscia, piglio intellettuale e vezzi da fanciullo appassionato. Il nuovo che serve per riempire chiese grigie e vuote.

La sua vocazione è stata oggetto di un docufilm in onda in Rai.
«La curiosità mi ha obbligato a cercare le ragioni della mia fede, la libertà l'ho trovata in Cristo, al di là di falsità e maschere, ho capito che la trovi solo nell'amore come dice Sant'Agostino e nel donare la vita agli altri. Una conversione lenta, andavo a messa una volta al mese. Nel 97 a Parigi ho cominciato a donare il mio tempo alla Chiesa e agli altri».

Poi la Gmg del 2000.
«Il Papa disse: se qualcuno di voi cari ragazzi avverte in sè la chiamata del Signore abbia il coraggio di dire sì, di donarsi completamente. Il 27 aprile 2001 ho incontrato Giovanni Paolo II, il 27 aprile 2008 sono stato ordinato sacerdote, il 27 aprile 2014 c'è stata la canonizzazione di Wojtyla. Un filo ci dev'essere».

Ballerino, sportivo, colto. Viceparroco al Prenestino, all'Appio, ora a Torrespaccata. Tra ortoterapia e Oktoberfest.
«È una tipica periferia romana: droga, malaffare, anziani soli , disabili, famiglie separate, papà in carcere. Propongo attività e feste per ritrovarsi visto che non ci sono bar, ristoranti, luoghi di aggregazione, però c'è tanto gioco d'azzardo. Fare il prete mi ha permesso di aprirmi alla realtà, ai palazzoni delle case popolari, agli sfasci da combattere. E di ringraziare per ciò che ho ricevuto senza merito».

Sì ma ha visto come sta Roma?
«Rimbocchiamoci le maniche, non aspettiamo gli altri, basta recriminare. Vedo tanto egoismo, ognuno pensa al suo orticello, di questo soffre Roma: non solo mala amministrazione, è colpa anche della gente, dice di amare Roma poi butta il divano in strada. Diamo fiducia alla società civile e troviamo il modo di lavorare insieme».

E' il suo modo moderno di vivere la vocazione.
«Spero di essere sempre così felice nel donarmi, nella vita se non sai dove vai sei perso. Vedo adulti che non sanno educare i figli, perché loro stessi non sanno dove andare, gente persa che vive giorno per giorno, senza un progetto. Io non ho rinunciato, ho costruito la mia vita con Lui. Se il prete non si dona cercherà compensazioni, come un uomo o una donna sposati possono cercare altro. La mia passione è qui e ora. Roma la scopro tutti i giorni, ma sono libero».

In che senso?
«Volere il bene degli altri non vuol dire riempire un vuoto affettivo. Credo nella bellezza del celibato, non vedo la mia vita come rinuncia a, ma donarmi per. Ma non è un momento facile, i preti devono essere appassionati, i giovani devi conquistarli, cercarli. La crisi delle vocazioni dipende da una società in cui di fede si parla ma non si vive. Nessuno si ferma a farsi domande profonde su quel che sta vivendo».

Gli scandali hanno inciso?
«Mi dà fastido quando si collega il celibato dei preti ai pedofili, come a dire se non vai da una donna vai dai bambini. I malati ci sono in ogni ambiente, specie in famiglia. Basta nascondere, i bimbi vanno salvaguardati e la commissione vaticana ci sta lavorando. Si sta tutti più attenti, certo non accompagno più un bambino in bagno ma continuo ad abbracciarlo».

Venerdì presenterà il documentario Fede e libertà a Porta a Porta, girato in Pakistan, Siria, Iran.
«Sono andato ai confini del Cristianesimo, tra guerre, povertà, discriminazioni: lì le chiese sono piene. Il problema nostro è solo la fede».
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA