Declino di Roma, sappiamo solo lagnarci

di Mario Ajello
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Domenica 24 Settembre 2017, 00:07 - Ultimo aggiornamento: 00:28
“Io vivo a Roma dal 1960
e mi vergogno
del declino progressivo”.

@CarloBanti27

Forse tutti dovremmo vergognarci, anche chi a Roma ci vive da sempre o ci è venuto a vivere poi. 
Ma sembra proprio che la vergogna non sappiamo provarla, non sappiamo che cosa sia, non capiamo come funziona, di fronte alle ville storiche diventate campi di patate o zone pericolose, ai mezzi pubblici scassati in mezzo alla strada e lì giacenti in attesa dell’arrivo del soccorso che non arriva, alle cartacce e alle erbacce e ai molestatori che vogliono rifilarti paccottiglia e accendini e asticelle da selfie anche se ti vedono piangere perché la fidanzata ti ha appena lasciato. 

Invece della vergogna, che può essere un sentimento positivo, attivo, mobilitante, creativo e ricreativo, abbiamo la lagna. Siamo diventati dei piagnoni: e questo non va, e quest’altro che schifo, prima si stava meglio, mio Dio che degrado, Madonna che sporcizia..... 

La lagna ci assolve e ci paralizza. Ed è la medicina peggiore. Del resto è tipico nelle fasi di declino che i romani, invece d’interrogarsi su che cosa fare e su come aiutare e aiutarsi nella risalita, brontolino. Era così nei decenni ottocenteschi verso la fine del regno papalino, quando Roma viveva il suo destino di città senza quid compiangendosi senza scuotersi. Ma almeno aveva Giuseppe Gioacchino Belli che nel descrivere la lagna, oltre che in tutto il resto, era un grande campione. 


 
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