Sulla porta c’è ancora una ghirlanda natalizia infiocchettata di rosso. Dietro, sbucano 90 metri quadri di casa arredati con gusto: soffitto chic con travi a vista, quadri d’arte moderna, tappeti. Anche il panorama è superbo: dal balcone del ballatoio, arredato con vasi di ginestre, ecco il parco Francesco Babusci, polmone green di Colli Aniene, Roma Nord. Peccato che non sia una casa. O meglio: non dovrebbe esserlo. È una biblioteca del Comune. La “Vaccheria Nardi”, al civico 37 di via Grotta di Gregna. Al primo piano abita da anni la vedova sudamericana di un travet del Comune. È morto nel 2018, ma sul citofono c’è ancora il suo cognome, insieme a quello della consorte. Sulla targa di metallo, accanto ai pulsanti, si legge in sequenza: «Biblioteca», «Mediateca», «Sala Ragazzi». E poi i nomi dei due inquilini, come fosse un condominio. Sono spazi del Campidoglio, invece. Dovrebbero calamitare i ragazzi di Pietralata e del Collatino per offrire loro libri, riviste, documentari. Cultura. Invece sono stati convertiti in residenza privata sotto lo sguardo inerte di Palazzo Senatorio. E per la casa abusiva nessuno, naturalmente, paga un euro di affitto alla città.
Dal buco nero dei 1.646 appartamenti del Comune intestati a inquilini morti da anni - qualcuno è deceduto addirittura nel ‘98 - affiorano casi come questo.
L’ESCAMOTAGE
Alla biblioteca di Colli Aniene è andata così: tocca riavvolgere il nastro al 2009, quando l’ex V Municipio decide di trasformare la “premiata vaccheria dei fratelli Nardi” in una biblioteca. A un impiegato della circoscrizione viene affidata la sorveglianza del cantiere di restauro, col permesso di dormire nei paraggi, in attesa che i lavori vengano conclusi. È il marito della donna sudamericana. Perché viene scelto proprio lui? Si era già insediato nel complesso quattro anni prima, sempre col placet del Municipio, con la «funzione temporanea di custode». A cantiere smobilitato, avrebbe dovuto andarsene. In teoria, perché il trasloco in realtà non è mai avvenuto. Il cantiere, si legge nelle carte dell’inchiesta interna del Campidoglio, «si è chiuso agli inizi dell’anno 2009» e «in data 7 maggio 2009» era prevista «la consegna del complesso all’istituzione Biblioteche di Roma». Il travet però è rimasto. E il Comune, scartoffie a parte, non ha mosso un dito. Nel 2011, quando erano già trascorsi due anni dalla fine dei lavori, l’Ufficio tecnico delle Biblioteche capitoline ha chiarito all’impiegato che la Vaccheria ormai era fatta e finita, che gli operai se ne erano andati da un pezzo e che insomma «non poteva più essere considerata un’area di cantiere».
Avrebbe dovuto fare gli scatoloni, anche perché nel frattempo era stato destinato alla biblioteca con mansioni impiegatizie, nulla a che vedere con la sorveglianza. Prima era stato designato «operatore dei servizi di comunicazione», poi «redattore delle pagine web». Per il Comune non aveva quindi «alcun titolo per occupare i locali». Ma anche in questo caso non è successo nulla. Nonostante le proteste dell’ente Biblioteche e perfino un’interrogazione alla giunta comunale, presentata nel 2019 dal consigliere di FdI, Andrea De Priamo. La vedova ora promette battaglia: «Qui ci abito io - risponde da dietro la porta - Siamo in causa col Comune, quindi parlate con i miei avvocati. Io mi devo tutelare». Finora ci è riuscita benissimo.