A tutto rock la chitarra di Joe Satriani, l'altezza di Bogotà in 2640 di Francesca Michelin

A tutto rock la chitarra di Joe Satriani, l'altezza di Bogotà in 2640 di Francesca Michelin
di Fabrizio Zampa
5 Minuti di Lettura
Domenica 21 Gennaio 2018, 15:30 - Ultimo aggiornamento: 22 Gennaio, 14:09
Joe Satriani - What Happens Next
 
Il chitarrista Joe Satriani, americano di Westbury, New York, annata 1956, di origini italiane (i nonni paterni erano di Piacenza e di Bobbio, quelli materni di Bari, e nel suo primo live italiano, nel 2008 a Trezzo sull'Adda, esordì con la frase «Buona sera a tutti, mi chiamo Giuseppe Satriani»), si è esibito a Roma tante volte (la prossima sarrà il 2 aprile al Parco della Musica con il progetto G3, cioè lui, John Petrucci e Uli Jon Roth), è uno dei chitarristi più famosi sulla scena del rock, più volte candidato ai Grammy Award. Ha suonato con tante star, da Steve Vai e Eric Johnson ai Deep Purple, Alice Cooper, Blue Öyster Cult, Stuart Hamm, Pat Martino, Ian Gillan e molte altre, e Mick Jagger lo scritturò nel 1988 come sostituto di Jeff Beck nel suo primo tour da solista senza i Rolling Stones. E’ un grande virtuoso, ha uno spirito che si muove fra rock e blues e al momento guida la band dei Chickenfoot (supergruppo formato da lui, dal vocalist Sammy Hagar, già Van Halen e Montrose, dal bassista Michael Anthony, ex-Van Halen, e dal batterista Chad Smith) il cui impatto è stato spesso paragonato a quello dei Led Zeppelin.
Satriani sul palco (ma anche in studio) ha ben pochi rivali, e nonostante i suoi 61 anni compiuti lo scorso luglio è uno che suona, e lo sa fare sul serio. In attesa di sentirlo dal vivo potete godervi il suo ultimo e sedicesimo lavoro in studio (ma anche inciso quattro begli album live), intitolato What Happens Next e da lui definito come «un'intima rinascita artistica». Per realizzarlo ha messo insieme un trio di all stars con il bassista Glenn Hughes (già Deep Purple e Black Country Communion) e il batterista Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers (al fianco di Joe nei Chickenfoot), e dire che la band è roba seria è il minimo che si possa fare. Tutto strumentale, l’album offre un rock potente, cucinato da tre autentici solisti alle prese con brani tutto sommato semplici eppure robustissimi, generosi di energia, con assoli da riascoltare più volte per assorbirne ogni particolare. Fin dai primi brani, Energy, Catbot e Thunder High on the Mountain, si capisce che sembra di essere a un concerto dal vivo, e gli altri titoli del disco, da uno splendido Smooth Soul che ricorda in certi momenti la grinta e il modo di suonare di Carlos Santana a Headrush (veloce, tosto, martellante), da What Happens Next (bella melodia) a Super Funky Badass, Looper, fino ai conclusivi Invisible e Forever and Ever, viaggiano per più di cinquanta minuti sull’onda di un rock di quelli che non è facile incontrare tanto spesso e che è un vero piacere ritrovare.


 
 
Francesca Michielin – 2640
 
«Un racconto sonoro che ho preparato pensando ai metri camminati per arrivare a 2640, nel senso dell’altitudine. Bogotà, in Colombia, è all’altezza di 2640 metri, non ci sono mai stata ma avrei voluto andarci tante volte anche perché lì c’è una missione che aiuta i migranti che aspettano per mesi e mesi un visto per gli Stati Uniti. Poi ho cambiato idea, ma da quel disagio è nato comunque un disco che parla di evasione, di voglia di scappare, che elogia i perdenti e tutto ciò che è di serie B»: così Francesca Michelin, 22 anni (saranno 23 a febbraio), da Bassano del Grappa, reduce da Xfactor e dall’Eurovision Song Contest di Stoccolma, sopravvissuta a Sanremo, presenta il suo nuovo album, appunto 2640, che è uscito la scorsa settimana e segue i precedenti Riflessi di me e di20. Sono tredici canzoni, nella prima delle quali, Comunicare, a spiegare i dettagli del disco sono le voci di Stefania (un’amica nata a Bogotà che vive a Barcellona che della città colombiana dice «Qui sei 2640 metri più vicino alle stelle»), del fratello Filippo (che recita un proverbio cinese) e di un amico che vive in Giamaica, e a un certo punto lei canta «Se non sto volando allora cosa cazzo sto facendo?». «Le persone a me care sono sparse per il mondo, ma ci sentiamo vicini con i messaggi vocali», spiega la ragazza, che ha firmato molti brani (sei sono tutti suoi) e che ha mobilitato parecchia gente, dal pianista e coautore Dario Faini (in Noleggiami ancora un film, E se c’era, Vulcano, Lava) a cantautori come Calcutta (che ha firmato con lei quattro pezzi: Io non abito al mare, Tropicale, La serie B e Tapioca), Tommaso Paradiso della band Thegiornalisti (in E se c’era) e Cosmo, cioè Marco Jacopo Bianchi (in Tapioca), oltre al produttore Michele Canova, che ha lavorato anche al precedente album di20.
lnsomma, 2640 è un album a tante mani che mescola pop, rock e rhythm & blues (con una piccola dose di elettronica) e che nell’insieme funziona, anche se le canzoni si assomigliano forse un po’ troppo nel sound e nell’approccio generale. Ma succede a tutti, anche ai migliori, e il viaggio senza meta di Michielin, che passa dalla Bolivia dell’omonimo brano alle Asturie di Alonso (è il pilota spagnolo Fernando Alonso che è un suo idolo e del quale canta i problemi affrontati negli ultimi anni), da Marrakech e le Galápagos (La serie B, titolo che prende spunto dalla retrocessione della squadra del Vicenza) e ad altri posti del mondo tipici dell’immaginario giovanile, anche se Michielin è una che ha già visitato una parte del globo. Diversi brani hanno una loro storia. Tapioca, per esempio, è una canzone multietnica che viene da un canto liturgico popolare del Ghana, e Francesca l’ha conosciuto grazie a una comunità ghanese con la quale ha passato molte domeniche a base di musica e pranzi di riso, carne e tapioca. E lo stesso vale per altri pezzi che, a conti fatti, toccano diversi temi e meritano a dir poco un primo ascolto. Chiarisce Francesca che «ci sono tre anime fondamentali nel disco, e sono rappresentate da un logo formato da tre triangoli di altrettanti colori: il triangolo rosso è un vulcano, che rappresenta l’esplosione e l’importanza del comunicare, il triangolo blu simboleggia il mare e il concetto di imparare ad ascoltare e sentire, il triangolo verde è la montagna dalla quale provengo, il legame con le origini». Se non avete capito è un problema vostro. E a marzo parte da Milano il suo nuovo tour, che il 12 aprile arriva a Roma.


 
© RIPRODUZIONE RISERVATA