La felicità perduta delle mamme italiane

La felicità perduta delle mamme italiane
di Maria Latella
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Domenica 13 Maggio 2018, 12:01 - Ultimo aggiornamento: 15 Maggio, 12:00
Negli anni 60 dell'Italia che, con ingenuità, esplorava le nuove occasioni di festa inventate dal neo consumismo, la Festa della mamma era una data festosa davvero. Per giorni si confabulava in tono cospiratorio con padri e fratelli, perché il regalo doveva essere una sorpresa, e lo era davvero: in quell'Italia lì, le mamme rivendicavano niente e si aspettavano poco. Era una vera festa, la festa della mamma perché, negli anni del boom economico, l'essere mamma era associato alla felicità. Proprio così. Felicità è una parola grossa, una di quelle che da un po' di tempo si ha quasi pudore a utilizzare, eppure proprio a quello stato d'animo si faceva riferimento, allora, quando si diventava mamma. I figli non erano solo un peso, una preoccupazione, un greve punto interrogativo sul futuro. Erano una gioia e così del resto ci veniva insegnato a scuola, quando la maestra insisteva sulla dignitosa e autorevole Cornelia, madre dei Gracchi. I due che erano, per l'appunto, i suoi gioielli.

L'EVOLUZIONE
Cos'è successo, non solo in Italia ma soprattutto in Italia, in soli cinquant'anni? Perché dall'essere il Paese del boom anche di pannolini (nel 1964 nacquero 1,035.207 bambini ) siamo passati all'essere il Paese del boom dei pannoloni? Sono sempre più venduti infatti quelli destinati ai vegliardi, giacché nel 2007 i neonati sono stati solo 473 mila.
Il fatto è che la festa della mamma è rimasta, proprio come sessant'anni fa, ma gli altri 364 giorni possono essere molto più faticosi per le donne che oggi affrontano l'avventura di essere madri. I genitori vivono una condizione di ansia, stress, preoccupazione costante quando il figlio diventa adolescente. Se sei donna, la vita può diventare un inferno se, da madre, hai un compagno che non aiuta, una ridotta disponibilità economica e i tuoi figli crescono in una grande e pericolosa città.

La felicità, quella parola che avevo pudore ad utilizzare prima e che invece - negli Anni 60 - era allegramente sparsa ovunque quando si trattava di parlare di mamme, la felicità, oggi, è intensa e piena solo durante il periodo della gravidanza. Così almeno si deduce dallo studio curato per l'università Bocconi dalla sociologa Nicoletta Balbo. La ricerca, nata da un precedente studio realizzato in Gran Bretagna, parte da un dato: la nascita di un figlio non produce lo stesso effetto su padri e madri. E soprattutto non ha lo stesso effetto su tutte le donne. Mentre per un uomo, indipendentemente dall'estrazione sociale, diventare padre coincide con un fase felice, per le donne non sempre è così.

Vive la maternità serenamente chi per scelta si dedica al nuovo arrivato, o almeno la vive serenamente per i primi due anni di vita del bambino, l'arco di tempo cui lo studio è dedicato. Sono mamme abbastanza contente anche quelle che lavorano a tempo pieno e, grazie alle maggiori possibilità economiche e a partner collaborativi, sentono che il peso non grava tutto sulle loro spalle. Il terzo gruppo, invece, quello delle mamme che lavorano ma non hanno aiuti domestici o compagni che condividono, ecco, queste mamme del terzo tipo, di maternità felice parlano meno. Perchè la loro vita è fatta di pochi bei momenti con i figli e di tanto stress per il resto della giornata.
Si dirà, anche cinquant'anni fa le mamme non erano tutte felici. Sicuro. Ma cinquant'anni fa le mamme appartenevano, per la maggior parte, al primo gruppo esaminato dalla ricerca Bocconi. Erano stay at home mums, come si dice ora. Casalinghe. Quelle che, secondo lo studio della professoressa Balbo, si dichiarano meno stressate.

LE PREOCCUPAZIONI
E poi, in cinquant'anni il peso della responsabilità, connesso alla decisione di diventare genitori, è diventato infinitamente più gravoso. Gravoso per i padri e per le madri. Lo sanno i genitori di adolescenti e pre adolescenti, ai quali viene richiesto di essere contemporaneamente psicologi, autisti, tutor per i compiti, compagni di gioco e atleti nello sport. Il tutto senza dimenticare il viaggio all'inferno che si dischiude quando il figlio si avvicina ai 15 anni. Tra spacciatori in agguato e pedofili on line, il minimo che si richiede oggi è una certa inclinazione a fare il genitore detective.

Stando cosi le cose, possiamo dolerci ma non stupirci se le ragazze e i ragazzi italiani (anche quelli che miracolosamente hanno un lavoro) riluttano e rinviano il momento in cui, diventando genitori, diventeranno davvero adulti.
Non è egoismo. È autodifesa. E benché in Giappone si punti oggi un dito accusatore contro le donne che scelgono di non avere figli, benché, appunto, un deputato settantenne, Kanji Kato, accusi le giapponesi senza figli di essere un peso per le casse dello Stato, ecco io non mi sentirei proprio di condividere il pensiero dell'onorevole Kato. Spererei piuttosto che alla prossima festa della mamma, le genitrici tutte ricevano, oltre all'apprezzato regalo familiare, qualche significativo dono statale: un vero progetto per padri e madri del presente e del futuro. Un primo, significativo passo che riconcili con quel concetto un tempo naturale. Essere mamme è essere felici.

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