Il suo kolossal, progetto di una vita intera realizzato dopo quarant’anni di gestazione, a Cannes ha diviso la critica, non ha ancora trovato la distribuzione americana, ma in sala ha avuto una standing ovation di sette minuti. E molti si aspettano la terza Palma d’oro per il regista 85enne che proprio sulla Croisette rivela: «Sto scrivendo il nuovo film, non mi fermo e spero di essere a Cannes anche tra vent’anni». Poi, da sempre artista libero e coraggioso, va giù come un fiume in piena su cinema, Hollywood, politica, soldi: «Ho investito 120 milioni di dollari, il mio patrimonio personale, per fare Megalopolis come volevo io. I miei figli Roman e Sofia hanno costruito delle belle carriere e non avranno bisogno di ereditare. I soldi non sono mai stati importanti, per me. Quando mi troverò in punto di morte avrò la soddisfazione di essere stato sempre libero...».
Megalopolis è un’allegoria politica: in una New York distopica che, in preda a corruzione, violenza e dissolutezza richiama l’antica Roma, Coppola proietta la propria indignazione e la speranza in un futuro migliore. «L’America, che era stata fondata sui valori dell’antica Roma, oggi è al collasso proprio come ai tempi della caduta dell’Impero romano. Rischiamo di perdere l’idea stessa della repubblica e spero tanto che gli artisti possano illuminare le coscienze: il loro compito è mostrare i guasti del mondo e indicare una strada per migliorarlo».
In questo scenario apocalittico il pericolo maggiore è rappresentato da Donald Trump che potrebbe vincere le presidenziali? «Per ora non è al potere», risponde il regista che ha collezionato cinque Oscar, «il rischio sta nell’attuale tendenza della società a spostarsi sempre più a destra, verso il fascismo. Ma chiunque abbia vissuto gli orrori della seconda Guerra Mondiale è preoccupato e spera ardentemente non si ripetano». Un ceffone, Coppola lo assesta poi a Hollywood, cioè al sistema industriale che ha sempre sfidato in nome della libertà di espressione. «Gli studios pensano più al commercio che al cinema: fanno film solo per pagare i debiti che hanno accumulato», tuona, «oggi imperversa lo streaming ma io continuo ad amare la sala». E quando i giornalisti gli rivolgono troppe domande, trascurando il cast che lo guarda con venerazione, insorge: «Non sono io il centro di Megalopolis, il film si è realizzato grazie al contributo di tutti. In particolare degli attori: sono loro che fanno grandi i registi. Sul set nessuno mi ha mai chiamato Mister Coppola. Sono per tutti Francis».
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