Francis Ford Coppola e il suo "Megalopolis": «Ho speso tutto quello che avevo ma sono libero»

Francis Ford Coppola e il suo "Megalopolis": «Ho speso tutto quello che avevo ma sono libero»
di Gloria Satta
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Sabato 18 Maggio 2024, 06:15
CANNES - Prima di tutto la famiglia. «Quando venni al Festival con Apocalypse Now, nel 1979, tenevo sulle spalle mia figlia Sofia che aveva cinque anni», esclama commosso Francis Ford Coppola appena si trova di fronte alla stampa internazionale. Vedovo della moglie Eleanor da poco più di un mese, sul red carpet si era fatto accompagnare dalla nipote diciassettenne Romy Mars. E il giorno dopo la trionfale proiezione di Megalopolis appare animato da un sentimento «a metà strada tra sollievo e gioia», rivela, «perché non ho mai mollato, nemmeno nei momenti più difficili». 

Il suo kolossal, progetto di una vita intera realizzato dopo quarant’anni di gestazione, a Cannes ha diviso la critica, non ha ancora trovato la distribuzione americana, ma in sala ha avuto una standing ovation di sette minuti. E molti si aspettano la terza Palma d’oro per il regista 85enne che proprio sulla Croisette rivela: «Sto scrivendo il nuovo film, non mi fermo e spero di essere a Cannes anche tra vent’anni». Poi, da sempre artista libero e coraggioso, va giù come un fiume in piena su cinema, Hollywood, politica, soldi: «Ho investito 120 milioni di dollari, il mio patrimonio personale, per fare Megalopolis come volevo io. I miei figli Roman e Sofia hanno costruito delle belle carriere e non avranno bisogno di ereditare. I soldi non sono mai stati importanti, per me. Quando mi troverò in punto di morte avrò la soddisfazione di essere stato sempre libero...».

Megalopolis è un’allegoria politica: in una New York distopica che, in preda a corruzione, violenza e dissolutezza richiama l’antica Roma, Coppola proietta la propria indignazione e la speranza in un futuro migliore. «L’America, che era stata fondata sui valori dell’antica Roma, oggi è al collasso proprio come ai tempi della caduta dell’Impero romano. Rischiamo di perdere l’idea stessa della repubblica e spero tanto che gli artisti possano illuminare le coscienze: il loro compito è mostrare i guasti del mondo e indicare una strada per migliorarlo». 

In questo scenario apocalittico il pericolo maggiore è rappresentato da Donald Trump che potrebbe vincere le presidenziali? «Per ora non è al potere», risponde il regista che ha collezionato cinque Oscar, «il rischio sta nell’attuale tendenza della società a spostarsi sempre più a destra, verso il fascismo. Ma chiunque abbia vissuto gli orrori della seconda Guerra Mondiale è preoccupato e spera ardentemente non si ripetano». Un ceffone, Coppola lo assesta poi a Hollywood, cioè al sistema industriale che ha sempre sfidato in nome della libertà di espressione. «Gli studios pensano più al commercio che al cinema: fanno film solo per pagare i debiti che hanno accumulato», tuona, «oggi imperversa lo streaming ma io continuo ad amare la sala». E quando i giornalisti gli rivolgono troppe domande, trascurando il cast che lo guarda con venerazione, insorge: «Non sono io il centro di Megalopolis, il film si è realizzato grazie al contributo di tutti. In particolare degli attori: sono loro che fanno grandi i registi. Sul set nessuno mi ha mai chiamato Mister Coppola. Sono per tutti Francis». 
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