Roma-Milan, Amelia: «I giallorossi devono stare attenti. Ecco che tattica userà De Rossi»

L'ex campione del mondo: «Svilar titolare? Una questione di tempo, ma Rui Patricio lo sta aiutando. Il Mondiale del 2006 è un ricordo bellissimo»

Roma-Milan, Amelia: «L'Olimpico ti gasa, ma i rossoneri sono abituati. De Rossi ha sempre avuto le caratteristiche del leader»
di V.B.
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Mercoledì 17 Aprile 2024, 22:24 - Ultimo aggiornamento: 18 Aprile, 16:05

In bacheca la Coppa del Mondo vinta in Germania nel 2006, la maglia della Roma e quella del Milan indossate in carriera. Basta questo per descrivere Marco Amelia, ex portiere classe 1982, che ha fatto parte della spedizione italiana che si è laureata campione del mondo. A Trigoria ha mosso i primi passi formandosi in giallorosso, poi in rossonero ha vissuto gli ultimi anni di carriera prima di approdare al Chelsea con Mourinho. Quella di ritorno nei quarti di finale di Europa League non sarà una partita come le altre per Amelia che la seguirà come doppio ex, come tifoso giallorosso, ma anche come allenatore con quel Master a Coverciano preso insieme a De Rossi

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Ha visto la partita di andata? Come l'ha vista?
«L’ho vista con l’occhio di chi sperava questa partita ci fosse in finale. Considerando anche la lettura delle situazioni di gioco, è stata una gara molto profonda e decisa su un calcio d’angolo. Ci potevano essere anche altre situazioni che hanno tenuto la partita viva, soprattutto in vista del ritorno. Anche questo, vista l’andata, sarà aperto».

Quindi non sa bene cosa aspettarsi.
«No, perché il Milan viene da questa sconfitta che brucia e da una partita come quella col Sassuolo, con cui ha dovuto spendere molte energie per recuperare lo svantaggio. La Roma viene da una situazione come quella di Udine che emotivamente ha impattato la mente dei giocatori, ma sanno cosa significa passare il turno. Penso sarà una partita molto aperta ed entrambe le squadre cercheranno di vincere. Mi viene da dire che non è finita e la Roma deve stare attenta perché il Milan ha voglia di recuperare».

Si aspetta qualche cambiamento tattico da Pioli, ma anche dall’allenatore della Roma?
«Visto come ha funzionato nella partita di andata, io credo che Daniele riconfermerà la coppia Celik-El Shaarawy. Sono stati bravi, ma credo che Leao sia stato sottotono visto che non è mai riuscito a trovare spazi per allungare. Anche Pioli l’ha sostituito nonostante il risultato negativo. Rafa ha giocato al di sotto delle sue normali prestazioni. A questo poi si aggiunge il grande lavoro dei due romanisti. Non credo l’impostazione cambierà molto, Pioli è un allenatore molto intelligente, sa quali sono le qualità di Leao, non penso le tattiche cambieranno».

Trova differenze tra Pioli e De Rossi?
«Pioli allena da venti anni e ha visto il calcio cambiare diverse volte. L’altro, con cui ho fatto il master a Coverciano, è direzionato verso un’ideologia moderna. Iniziando oggi, De Rossi sa quali sono le richieste di questo calcio. Ha portato un’idea moderna e che altri allenatori stanno proponendo. Pioli ha vissuto ere diverse del calcio e si è adattato dimostrando un grande sintomo di intelligenza. Credo che nelle similitudini ci sia la gestione del gruppo, che è fondamentale. Per quanto riguarda il discorso tecnico-tattico, è troppo presto parlare di Daniele che è ancora emergente, non si può giudicare ora. Puntare sulla gestione del gruppo li rende simili. Sanno che è fondamentale per ottenere risultati.

De Rossi ha il merito di aver scelto Svilar come titolare.
«La titolarità era già stata invertita da Mourinho perché aveva messo Rui Patricio in coppa e Svilar a Milano.

Daniele ha schierato in un paio di partite Rui e poi ha rinvertito la situazione. Anche José si è accorto che Mile stava bene e il portoghese aveva delle sofferenze psico-fisiche dovute all’alta concentrazione di partite. Questo è quello che ho visto».

Cosa cambia nella testa di un portiere quando perde il posto?
«Ti scoccia. Ma siccome siamo molto intelligenti, se ci rendiamo conto che i colleghi sono nella condizione mentale e fisica migliore mentre noi siamo al di sotto delle nostre potenzialità, accettiamo il fatto che il mister debba pensare alla squadra e faccia il cambiamento. Penso che Rui abbia accettato il fatto, credo sia di aiuto a Svilar nella gestione degli allenamenti e nella preparazione delle partite. Questo atteggiamento nei confronti di Mile gli è stato riconosciuto anche da Daniele».

Mentre nella testa di un portiere che diventa titolare che succede?
«Ti dà la grande soddisfazione di vedere realizzato tutto lo sforzo che hai fatto negli anni in cui hai aspettato il tuo momento. Svilar ha giocato alcune partite anche con Mourinho, ma è stato un po’ per turnover. Anche andando avanti nelle coppe, José ha utilizzato Rui Patricio a ridosso di semifinali e finali. All’inizio Mile giocava in coppa. Quando ti rendi conto che ci sono dei cambiamenti che decretano la titolarità capisci che è arrivato il tuo momento e dai il massimo. Credo che Svilar stia mostrando tutte le sue abilità. Lo sapevamo dentro Trigoria, lo sapevamo noi addetti ai lavori che ci sarebbe stato questo cambiamento prima o poi. Mile è stato molto stimato da tutti i compagni di squadra, ma anche dallo staff di Mourinho e poi da quello di De Rossi».

Il cambio di un portiere rappresenta una rivoluzione per un gruppo?
«Se hanno caratteristiche di gestione difensiva diversa, cambia molto dal punto di vista tattico per il reparto arretrato. Magari un portiere è più predisposto a stare alto ed effettuare molte uscite basse oppure aiutare i compagni. Ci sono anche quelli che invece rimangono di più sulla linea di porta e difendono l’area piccola. Mile che è predisposto nelle uscite alte e questo aiuta molto i difensori. C’è differenza con Rui Patricio, ma non tanta».

Maignan non ha giocato a Sassuolo a causa di un affaticamento: in partite come questa tra Milan e Roma quali sono le maggiori difficoltà per un portiere?
«Il portiere oggi fa molti più chilometri rispetto a quando giocavo io. Oltre a questo, c’è la pressione mentale che ti toglie energie. C’è anche la fatica fisica muovendosi avanti, indietro, a sinistra o a destra. Non sono movimenti ad alta velocità, ma alla fine sono chilometri in più. Credo che la reazione nei movimenti brevi, poi, sia qualcosa che toglie tante energie. Il portiere deve essere molto reattivo e deve saper reagire nello stretto. È uno sforzo di esplosività molto alto e toglie parecchie energie. Credo che Mike abbia pensato più al ritorno con la Roma che alla partita col Sassuolo, dato che il campionato è praticamente deciso. Anche il discorso con la Juventus per secondo e terzo posto penso che sia definito».

Ha lavorato con De Rossi in Germania nel 2006 e lo ha visto da vicino nel Master da allenatore a Coverciano: quanto è maturato e che impressione le ha lasciato?
«Penso sia passato molto bene dal ruolo di calciatore a quello di allenatore. Cambia mentalità, anche se lui è sempre stato predisposto alla gestione del gruppo essendo stato capitano della
Roma. È diventato più maturo, col passare degli anni si imparano diverse cose e quando sei deciso a fare questo lavoro ti formi e cambi il tuo approccio mentale. Magari la presenza in casa di suo padre Alberto lo ha aiutato. Ha avuto delle difficoltà nella gestione del gruppo alla Spal, ma sono ostacoli che i nuovi allenatori trovano e non dipendono tanto da loro, ma dalle difficoltà dell’ambiente in cui subentrano. è stato molto bravo a gestire una situazione difficile come subentrare nella gestione Mourinho. Non è semplice. Conoscendo anche l’ambiente, ci è riuscito nel migliore dei modi».

Ha giocato nella Roma e nel Milan: ha notato differenze tra gli ambienti?
«A Roma, durante la settimana, si sprecano tante energie e l’atteggiamento della gente è molto più critico rispetto a Milano. Lì magari arrivi alle partite non dico con serenità, perché quando giochi col Milan lo fai sempre per vincere, ma nella vita quotidiana è molto più tranquillo a Milano che a Roma. Nella Capitale, anche se vai a fare solo la spesa, hai una pressione diversa perché la gente è molto più passionale. Ti toglie molte più energie. Poi per non parlare del contorno. La presenza dei media locali a Roma è altissima, a Milano ci sono molti più media nazionali che parlano di Inter e Milan. Sono piccole differenze che a Roma tolgono tanto. Quella giallorossa è una piazza che ogni anno potrebbe lottare con le grandi del calcio italiano. Per passionalità dei tifosi, con il bacino di utenza che sa rispondere molto bene, come abbiamo visto con Mourinho, credo che Roma abbia le potenzialità per fare molto meglio rispetto a quello che è il suo palmarès. Mi dispiace perché io sono un tifoso giallorosso. Ho visto tante differenze rispetto all’ambiente di Milano».

Entrare in un Olimpico sold out che effetto fa?
«Ti gasa entrare in uno stadio così. Il problema è la settimana che ti fa arrivare senza energie. L’importanza del risultato finale è talmente alta che la senti tutta. E non riesci a isolarti dalla passione dei tifosi che non è semplice da gestire».

Questo Olimpico pieno, invece, che effetto può fare nel Milan?
«Cambia poco, il Milan è abituato a queste partite. Io prima dell’andata davo i rossoneri leggermente più avvantaggiati proprio per la capacità di saper vivere questo tipo di partite. Il prepartita di questi quarti di finale, il Milan lo sa vivere molto di più rispetto alla Roma, ma parlo anche di quelli che vivono dentro Trigoria e che conoscono l’importanza della gara. Daniele è stato molto bravo a gestire anche questo aspetto. Sa bene come si vivono a Roma queste partite, c’è stato vicino anche il derby».

È vero che è stato vicino alla Lazio?
«Sì, dopo il 2006, ma non avrei mai potuto firmare con loro. Non è fattibile in un ambiente come Roma fare una cosa del genere e a livello personale sarebbe stato ingestibile. Ho sempre pensato più a rientrare in futuro in giallorosso piuttosto che andare alla Lazio, ma per rispetto di tutti: mio, per i tifosi della Roma e per quelli biancocelesti. Credo che queste cose contino quando sei esposto come passioni personali. Io sono cresciuto in una famiglia di romanisti, sono cresciuto dentro Trigoria e mi sembrava impossibile andare alla Lazio. Come è nata la possibilità di questa trattativa si è chiusa in un attimo, ma grazie all’intelligenza di tutti: da Lotito alla mia famiglia».

La vittoria del Mondiale nel 2006 che ricordi ha lasciato?
«Bellissimi, alzare la Coppa del Mondo è il massimo per un calciatore. I ricordi sono meravigliosi e sono quelli che tutt’oggi vedi da vicino. Magari altri sono più sbiaditi, ma quelli del Mondiale li percepisci più vividi».

Nel 2015 il passaggio al Chelsea, come è avvenuto?
«Io avevo praticamente deciso di smettere, ma poi il Chelsea ha avuto un problema con un infortunio a mercato chiuso. Io stavo andando in un altro club italiano, poi a settembre si è fermato Courtois e Mourinho mi ha permesso di fare una delle esperienze più belle della mia vita. Devo dire che oggi ho il rimpianto di non averla fatto prima».

Cosa lascia Mourinho?
«Ti lascia tanto. Ha una grande capacità di entrarti nella testa per farti rendere al massimo. Credo che chiunque sia stato allenato da lui può affermarlo, anche quelli che hanno giocato poco e niente. Ha sempre dato importanza a tutti i giocatori. Non posso parlare della gestione di Roma perché non l’ho vista da dentro e da vicino, ma so lui come è fatto. La gestione nella Capitale al terzo anno era arrivata al termine per tante situazioni che riguardavano più il rapporto con la società piuttosto che con la piazza. José ha una capacità incredibile di far sentire i suoi giocatori importanti e di farli andare oltre i loro limiti».

Che differenze ha notato tra Serie A e Premier League?
«Ritmi di calcio, alta intensità negli allenamenti e la grande aggressività nelle sedute. In Italia durante gli allenamenti, alcuni tecnici dicono di fare piano per non farsi male. In Inghilterra si entrava duro, ci si dava la mano e si continuava. Era l’abitudine. Le partite sono così, in Inghilterra gli arbitri fischiano meno e il contatto fisico viene accettato di più. I tempi effettivi di partita quando giocavo in Premier erano molto alti. In Italia sono cambiati solo ultimamente. Parliamo di una differenza di circa 15 minuti effettivi in più, sono tanti. Ora anche noi stiamo andando in quella direzione grazie ad allenatori moderni che hanno capito che l’intensità è fondamentale. Per non parlare poi di strutture e stadi che ci sono in Inghilterra. Se vai a vedere gli impianti di terza o quarta lega sono alla pari di quelle della Serie A. Purtroppo, noi siamo indietro, basta vedere le problematiche che sono legate all’Europeo».

Queste differenze di intensità si notano quando le squadre italiane vanno in Europa e fanno fatica. Per non parlare poi degli arbitri che fischiano di meno.
«Le squadre italiane non sono abituate. La Roma è stata allenata da Mourinho a questa intensità e infatti è riuscita a resistere al Leicester in Conference League. L’Atalanta è molto aggressiva e molto da Premier League grazie alle modalità di allenamento di Gasperini. Loro possono tenere testa alle inglesi, magari non accadrà sempre il 3-0 al Liverpool, ma i bergamaschi riescono ad avere una grande aggressività».

Parli proprio da allenatore, spera che nel suo futuro ci possa essere una grande panchina o comunque una di quelle squadre in cui ha giocato?
«Ambisco a ripetere il percorso che ho fatto da calciatore. Mi piacerebbe molto allenare le squadre con cui ho giocato. Adesso sono in un periodo formativo, per il futuro ci sono da prendere tante decisioni. Ho l’ambizione di poter andare ad allenare le squadre con cui ho giocato perché ci sono stato molto bene».

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