BUFERA LOTITO. Claudio, lo scalatore che non lascia avanzi nel piatto

BUFERA LOTITO. Claudio, lo scalatore che non lascia avanzi nel piatto
di Piero Mei
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Sabato 14 Febbraio 2015, 06:09 - Ultimo aggiornamento: 10:56

In tasca dichiara di avere il Vangelo, il Rosario e quattro telefonini: due per parte. Chissà da quale dei quattro (per la squadra, per la famiglia, per le imprese e uno riservatissimo il cui numero, dice, conosce solo la segretaria, tutti spenti tre ore e mezzo a notte, tempo del sonno, e la domenica alla Messa) Lotito è stato “tradito”. E stoppato (forse? mai dire mai per citare qualcosa con il re delle citazioni, latine e giudiziarie, che è) nella sua resistibile ascesa al potere del calcio, quel calcio che «è per pochi, mentre il pallone è per tutti», ipse dixit. Lotito, classe '57, è entrato tra quei pochi. Laziale da quando aveva 6 anni e il fidanzato della tata chiese «regazzì, che squadra tieni?», «nessuna», «allora da oggi tifi Lazio». E Lazio fu (forse).

Patron dal 19 luglio 2004 quando acquistò 18.268.506 azioni della Lazio che «era al funerale, l'ho portata in condizione di coma irreversibile e spero presto di renderlo reversibile», ipse ridixit, e c'è riuscito, va riconosciuto.

Lo riconoscono anche i tanti innamorati della Lazio i quali l'hanno contestato sonoramente (e per scritto: «Ridatece i marò, prendeteve Lotito» uno striscione) ma poi godono dei successi della Lazio, come quello nel derby di Coppa Italia, finale all'Olimpico. L'hanno contestato anche altri: per restare all'ambito sportivo il Coni per la definizione di “estorsione” al canone preteso per l'utilizzo dello stadio e perfino la Lav per il volo dell'aquila Olimpia prima d'ogni partita. Il fatto è che Lotito, imprenditore di pulizie, manutenzione e sanificazione, ha scalato tutti i gradini del potere calcistico facendo dell'oggetto delle sue imprese anche il presunto oggetto della sua carriera di dirigente calcistico che l'ha portato alla attuale vicepresidenza della Federazione, un vicepresidente ombra, si dice, ma in realtà è lui a fare ombra al presidente Tavecchio: una divertente campagna social aveva l'hashtag #Lotitoovunque dopo che lui si era fornito di divisa d'ordinanza e fatto fotografare in posa semimarziale in campo azzurro. Dalla Lazio (e poi anche dalla Salernitana e voci gli attribuscono ulteriori partecipazioni), Lotito ha scalato le posizioni, da ottimo grimpeur, lasciandosi descrivere come macchietta con le sue uscite in latino (anche il Papa l'ha rivalutato, commentò), usando aggettivi tipo “escatologico”, mettendo per qualche tempo il silenziatore a giocatori e staff e andando di persona ad ogni microfono e telecamera a spargere cultura all'insegna di «non sono tirchio, nel piatto non lascio avanzi». Non lascia nemmeno il piatto.

È riuscito a sconfiggere un Agnelli portando Beretta alla rielezione in Lega (lì conquistò il primo strapuntino di potere per poi arrivare al sottotrono d'oggi), ha costituito una Santa (?) alleanza con Galliani e Preziosi per contrastare ogni altra alleanza (nemmeno quelle sante), non ha fatto una piega quando il suo candidato Tavecchio (poi eletto grazie a lui) ha parlato di Optì Pobà che mangiava banane e ora gioca nella Lazio (ma perché proprio la Lazio?); ha, come tutti, ottenuto vistosi sconti di pena dalla giustizia sportiva in saldi e qualche prescrizione in quella ordinaria, oltre ad ancor più vistose rateizzazioni di debiti fiscali. «Se vado al Governo risolvo i problemi in dieci anni» ha detto una volta parlando di politica: occhio a ricascare nel cliché della macchietta.