Peter Higgs, scopritore del bosone: «È l’immaginazione a rendere l’uomo superiore ai robot»

Peter Higgs, scopritore del bosone: «È l’immaginazione a rendere l’uomo superiore ai robot»
di Italo Carmignani
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Mercoledì 18 Luglio 2018, 14:07 - Ultimo aggiornamento: 23 Luglio, 19:16
È diventato uno dei grandi del mondo per avere scoperto un infinitesimo dell'universo, il bosone con il suo nome, Higgs. Ma se gli chiedono cosa pensi del futuro, alla soglia dei suoi novant'anni, Peter Ware Higgs, Nobel per la Fisica nel 2013, si fa piccolo, alza gli occhi chiari e immerso nella poltrona di velluti rossi del teatro Caio Melisso di Spoleto, aggiunge con simpatia inglese: «Dovete chiederlo al cosmo, sono un fisico, non un profeta».

Nel teatro voluto da Carla Fendi per illuminare il Festival dei Due Mondi, Higgs ha appena ricevuto il premio della Fondazione, intitolato alla stilista e promotrice della cultura.

Assieme a lui ci sono anche gli scienziati François Englert e Fabiola Gianotti, entrambi impegnati nella medesima ricerca sulle particelle infinitesimali con l'ausilio di uno dei laboratori più grandi della terra, primo fra tutti, il Cern di Ginevra. Proprio in quella Enterprise svizzera della scienza, il 4 luglio del 2012 la teoria sull'esistenza di una massa che rende concreto quanto di più piccolo esiste e che si è formato un miliardesimo di secondo dopo il Big Bang, ha ricevuto la sua benedizione pratica. Esattamente 49 anni prima, nel 1964, Peter Ware Higgs, lo aveva ipotizzato in mezzo ai suoi appunti. E ora, 54 anni dopo, spera che questo si ripeta con i buchi neri e l'energia oscura.

Professor Higgs, quanto è avvenuto il 4 luglio del 2012 rappresenta per lei un punto d'arrivo o un punto di partenza?
«Il bosone di Higgs è un lungo lavoro di ricerca e applicazione coronato a 49 anni dall'elaborazione della teoria. Ma se dovessi essere onesto allora non avrei mai sperato che sarei sopravvissuto alla certificazione di quanto studiato con i semplici calcoli».

Deve essere stato un momento speciale quando le hanno comunicato la prova scientifica della sua teoria.
«La notizia della scoperta della particella di Dio mi ha messo un grande tensione: sapevo che avrebbe cambiato la mia vita. Ma già nel 2008 quando un giornalista mi chiese quanto fossimo sicuri che saremmo arrivati a questa scoperta, gli risposi al 90 per cento. Per me, in base alle evidenze sperimentali, era chiaro».

La scienza ha fatto dei passi da gigante dai giorni in cui ha elaborato la sua teoria?
«Il punto è proprio questo: le macchine, quei meravigliosi acceleratori hanno compresso nel tempo processi molto estesi e molto lunghi. Senza i rivelatori di particelle, senza la pazienza e la perseveranza di centinaia di scienziati, non saremmo mai arrivati a questi risultati in tempi così ridotti».

Le macchine, dai super computer ai super laboratori, sono decisive, ma ora s'innesca la paura, ricordata in molti film di fantascienza, che i robot possano prendere il sopravvento sull'uomo.
«Si fanno tante teorie sull'intelligenza artificiale, ma le macchine allo stato attuale sono ancora limitate rispetto a noi umani. Ne abbiamo ancora il pieno controllo. In fondo siamo noi a decidere quali funzioni deleghiamo alle macchine e anche quando diamo loro l'autonomia di decidere lo fanno in base a un nostro codice».

D'accordo, ma questa autonomia loro affidata non potrebbe ritorcersi contro gli uomini e cominciare a risolvere i problemi in favore della macchina?
«Non credo in tempi brevi. Rispetto all'elaborazione dei nostri pensieri le macchine non potranno mai prendere il sopravvento perché la nostra è un'attività immaginativa. È la nostra immaginazione che riesce a elaborare la teoria. Se guardiamo indietro a Maxwell che ha introdotto nella ricerca scientifica la fisica elettromagnetica, si vede subito che il passaggio successivo alla meccanica quantistica è l'uomo ad averlo pensato, applicato e studiato. Senza quantizzazione niente particelle elementari e non l'ha stabilito una macchina. Ci vorrà molto tempo prima che avremo macchine con una funzione immaginativa. Se mai le avremo».

Se il bosone è un punto di partenza oltre che d'arrivo, ora si è al lavoro per scoprire altre particelle, soprattutto legate al concetto di antimateria, quella parte dell'universo che permette l'esistenza della materia stessa.
«Partiamo da modelli che ci hanno permesso di elaborare delle teorie e di avere la loro conferma. A questo punto andare oltre significa viaggiare non solo verso la scoperta di altre particelle, ma anche di mettere alla prova se quanto scoperto finora non vada rimesso di nuovo in discussione».

Parlando di materia oscura, in effetti questo pericolo c'è, ma quali sono gli ostacoli da superare in questo momento?
«In sostanza, sono due le questioni aperte. La prima è la materia oscura che esercita un'attrazione gravitazionale. La seconda è capire cosa sia esattamente questa energia oscura: secondo noi è questa energia a portare avanti l'espansione dell'universo. Ma siamo in un campo assolutamente nuovo in cui occorre muoversi con attenzione perché al momento queste particelle non sono state ancora trovate. Dobbiamo capire se questo dipende dagli strumenti che utilizziamo o se il modello non è quello giusto. La teoria cui facciamo riferimento è quella della super simmetria. Ma dobbiamo essere pronti a ribaltare le nostre idee e non avere preconcetti».

Nello sport, in particolare nel salto in alto è stato Fosbury, con l'invenzione dei suo salto all'indietro, a segnare la svolta epocale, nella fisica è stato Higgs e il suo bosone a raccontare la rivoluzione?
«Può essere, anche se la scienza è sempre un lavoro di collaborazione tra persone, in questo caso di migliaia di scienziati. A dimostrazione che in un progetto scientifico possono convivere in pace tante anime diverse».
 
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