Beccato con la droga e cacciato da Perugia: «È pericoloso». I giudici lo fanno rientrare

La sede del Tar dell'Umbria
di Egle Priolo
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Martedì 6 Febbraio 2024, 09:00

PERUGIA - Beccato con la droga durante un controllo, incassa la denuncia e un foglio di via da Perugia: è pericoloso. Ma il Tar ribalta tutto: in città lui lavora anche, la misura è esagerata per un uso personale e il ministero dell'Interno va condannato alle spese.

È quanto stabilito dal tribunale amministrativo regionale nella sentenza pubblicata ieri, a firma del presidente Pierfrancesco Ungari, con Daniela Carrarelli e Davide De Grazia, che hanno deciso del ricorso presentato dall'uomo che aveva perso il diritto di restare a Perugia dopo essere stato controllato dai carabinieri e «trovato in possesso di sostanza stupefacente per uso personale, appena acquistata». Così la questura «ritenuto – riassumono i giudici amministrativi - che il comportamento del ricorrente sia idoneo ad alimentare il mercato dello spaccio a Perugia, rilevato che in loco non ha attività lavorative e che a suo carico risultano due denunce - per invasione di terreni ed edifici e per guida sotto l’influenza dell’alcool - lo ha qualificato come persona pericolosa» e ha disposto il suo allontanamento dal capoluogo con il divieto di rientrarvi per tre anni.
Ma l'uomo, cittadino extracomunitario con permesso di soggiorno dal 2014, assistito dall'avvocato Mauro Bigi, ha sottolineato come, nonostante la residenza a Roma, abbia «vissuto a Perugia fin dall’adolescenza e di lavorare attualmente come elettricista per una ditta» con «frequenti occasioni di lavoro» in città. Da qui, il ricorso. L'avvocato ha sottolineato come nessun reato fosse «addebitabile al ricorrente», visto che la denuncia si è chiusa con un'archiviazione e che la detenzione di droga per uso personale fosse un «mero illecito amministrativo». Ma soprattutto come non potessero sussistere i presupposti per il foglio di via obbligatorio «in quanto si tratta di uno strumento diretto a prevenire reati socialmente pericolosi, non già a reprimerli, e pertanto, benché non occorra la prova della avvenuta commissione di reati, è richiesta dalla giurisprudenza amministrativa una motivata indicazione dei comportamenti e degli episodi, desunti dalla vita e dal contesto socio ambientale dell’interessato, da cui oggettivamente emerga una apprezzabile probabilità di condotte penalmente rilevanti e socialmente pericolose». «Elementi che mancano nel caso in esame – riassume ancora il Tar -; anche l’episodio che ha originato il provvedimento impugnato potrà testimoniare il consumo di sostanze stupefacenti, ma non integra di certo il requisito del coinvolgimento effettivo in condotte criminose».
Il ministero dell'Interno si è costituito in giudizio e ha chiesto il rigetto «in quanto il provvedimento di prevenzione sarebbe correttamente basato su una valutazione dei precedenti del ricorrente, e prevarrebbe sulle sue (eventuali) necessità lavorative».
Ma il Tar ha riletto in punta di diritto il dettato della legge 327/1988 sulla definizione di persone socialmente pericolose, in combinato con il decreto legislativo 159/2011 sul foglio di via e con la giurisprudenza che prevede come «il provvedimento deve fondarsi necessariamente su circostanze concrete che, oltre ad essere provate, devono potersi ritenere significative e concludenti ai fini del giudizio di pericolosità sociale». «In questa prospettiva, la condotta consistente nell’acquistare e detenere sostanze stupefacenti per uso personale – si legge nella sentenza - non integra le fattispecie in questione».
Per questi motivi, il Tar ha annullato il provvedimento, già sospeso comunque dal luglio scorso, e ha anche condannato l'amministrazione resistente al pagamento di mille euro nei confronti dell'uomo, per le spese di giudizio.

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