Radio Radicale fa le pulci al sistema giudiziario Vaticano e spunta l'ipotesi di dossieraggio illecito coi dati della DNA

Si è aperto un dibattito tra giuristi e canonisti: esiste il giusto processo nel tribunale del Papa?

Radio Radicale fa le pulci al sistema giudiziario Vaticano e spunta l'ipotesi di dossieraggio illecito coi dati della DNA
di Franca Giansoldati
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Sabato 16 Marzo 2024, 10:59 - Ultimo aggiornamento: 12:14

«E' la giustizia di un sistema assoluto», «un processo che proietta ombre sulla giustizia vaticana e persino su quella italiana», «un processo staliniano»,«un processo politico», «un nuovo caso Tortora», «un altro caso Dreyfus, solo che a differenza del capitano Dreyfus il cardinale Becciu sa o ipotizza ciò che c'è dietro quello che gli è capitato». E' durata oltre un'ora e mezzo la densissima puntata che stavolta Radio Radicale - l'emittente impegnata da sempre sul fronte della giustizia - ha voluto dedicare al sistema giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, partendo dal cosiddetto caso Becciu, vale a dire il maxi processo durato oltre due anni partito da una inchiesta avviata nell'ottobre 2019 per la disastrosa compravendita del Palazzo di Londra. Il processo è terminato quattro mesi fa con la sentenza di condanna di nove dei dieci imputati, tra questi il cardinale condannato a 5 anni e sei mesi. Una vicenda processuale complessa, contorta, piena di colpi di scena e soprattutto caratterizzata da regole che il Papa ha cambiato per ben quattro volte a processo aperto mediante Rescritti firmati tra luglio 2019 e febbraio 2020 tramite i quali sono stati allargati enormemente i poteri dei pm vaticani. Un aspetto assolutamente inedito che, a livello accademico - tra autorevoli giuristi e canonisti –, sta avviando una riflessione piuttosto allarmata sulla deriva in atto al di là del Tevere. A parlare nella sede della Fondazione Willy Brandt sono stati lo storico Ernesto Galli Della Loggia, il canonista monsignor Filippo Di Giacomo, l'ex procuratore di Catanzaro, Otello Lupacchini, Giuseppe Rippa (direttore di Quaderni Radicali e Agenzia Radicale) e i giornalisti Camillo Maffia e Andrea Gagliarducci, quest'ultimo un attento osservatore sempre presente alle oltre novanta udienze nell'aula del tribunale vaticano. 

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L'intervento più interessante è forse arrivato dall'ex magistrato Lupacchini. Dopo essersi studiato meticolosamente la montagna di carte e di documenti prodotti durante il lungo processo, ha individuato una traccia che – unendo tutti gli indizi disponibili emersi – fa arrivare questo processo dritto al dossieraggio che coinvolge il finanziere Pasquale Striano e agli accessi illeciti nel sistema informatico della DNA, ponendo una serie di interrogativi sia per l'Italia che per la Santa Sede.

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Tanto per cominciare, ha detto Lupacchini, «il modo in cui è stato condotto il processo ha proiettato un'ombra sulla giustizia vaticana e pure su quella italiana e lascia presagire al peggio». Le carte processuali gli hanno evocato certi «processi staliniani o della Santa Inquisizione». Tutto per come si è sviluppata in origine questa vicenda, A questo punto Lupacchini si è chiesto come non considerare il fatto che i magistrati vaticani «provengono dall'Italia o assai spesso sono legati alla Guardia di Finanza, alla quale appartiene anche il luogotenente Striano». Un particolare che lo ha collegato agli accessi abusivi che sono stati fatti e che riguardano anche personaggi coinvolti a vario titolo e con varie vesti processuali nel processo Becciu. «E non si tratta di cose accadute quando ormai l'indagine era avviata e il processo in corso, ma di cose che hanno determinato l'insorgenza dell'indagine stessa perché avvengono, queste introiezioni nel sistema, a partire da una epoca antecedente al procedimento penale dell'inchiesta». 

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Il dossieraggio include, infatti, anche alcuni degli imputati al processo vaticano: Raffaele Mincione, Gianluigi Torzi, Fabrizio Tirabassi, Cecilia Marogna e anche il deputato Giancarlo Innocenzi Botti. «Le abusive introiezioni nel sistema informatico della DNA relative a questi personaggi iniziano il 22 luglio 2019, ben quattro mesi prima della perquisizione negli uffici della Segreteria di Stato. E poi proseguono per tutto il tempo successivo. Il 15 ottobre del 2019 il comandante di allora – Domenico Giani nrd - della Gendarmeria, proveniente dalla Guardia di Finanza che per vent'anni ha ricoperto quel ruolo sotto diversi pontefici, si dimette e Papa Francesco accoglie le sue dimissioni” per la fuga di un documento. “In quella occasione il Papa lamentava la vergogna di questa fuga di notizie per la sofferenza provocata alle persone coinvolte», e guarda caso in concomitanza esce un articolo ben documentato sull'Espresso.

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Lupacchini si chiede: «Cosa c'è dietro a quello che viene definito da Cantone un verminaio per gli accessi abusivi e l'estrazione di file su materie delicate sottratte alle banche dati a cui aveva accesso il luogotenente Striano presso la DNA? Noi non lo sappiamo, tuttavia sappiamo chi ne ha beneficiato e sappiamo quale uso sia stato fatto dai documenti: le denunce di operazioni sospette relative alla vicenda Becciu». Da qui le «anomalie e le ombre su un processo che diventa sostanzialmente sommario, volto a distruggere un sistema marcio che si dava per presupposto ma non per effetto della prova, anzi esso stesso diventa prova di se stesso». Un sospetto che mina alla base la credibilità del sistema giudiziario vaticano con contraccolpi non indifferenti a livello internazionale. 

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Il canonista Di Giacomo ha fatto notare che il magistero di Francesco, con le riforme fatte in questi anni e i suoi interventi in materia giuridica hanno progressivamente portato a una evidente “vaticanizzazione” della Santa Sede, creando contraccolpi a livello internazionale. Un aspetto che si è riverberato anche sul sistema giudiziario all'interno del quale, ha detto Di Giacomo, «evidentemente si ignora il diritto canonico». A suo parere ci sarebbero stati anche vulnus persino al Concordato («Forse è arrivato il momento di andare oltre i Patti?»).

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