Andrea Purgatori, Paolo Graldi: «Quei giorni in cronaca durante gli anni di piombo quando si dormiva in redazione»

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Andrea Purgatori ha insegnato un metodo di lavoro: prendeva le immagini e le nutriva di parole. A parlare e a ricordare il cronista d'inchiesta morto stamattina a Roma è il collega e amico Paolo Graldi, editorialista e già direttore del Messaggero.

Geniale, coraggioso,  vulcanico, infaticabile. «Era un ricercatore di verità», spiega Graldi. Cioè? La «miglior versione possibile della verità», dice ricordando le (tante) inchieste di Purgatori. La strage di Ustica, in primis. Ma anche il rapimento Moro, le stragi di mafia. Purgatori è morto in un giorno cruciale per uno dei casi in cui si era immerso: la strage di via D'Amelio.  

Grande fumatore, un ironico che diventava non di rado sarcastico: «Amava le stilettate dialettiche», dice l'amico Graldi che sottolinea la cifra poliedrica del giornalista ideatore della trasmissione "Atlantide". E ancora: «Creava empatia con chi lo ascoltava, imponeva l'attenzione sui temi che spiegava e il suo stile diceva: "Attenzione, qui non stiamo giocando"». E per farlo aveva una dote: una memoria di ferro, e sui dettagli. «Poteva leggere la pagina di un verbale ed era in grado di ripeterla un attimo dopo senza rileggerla». 

«Andrea era: il dubbio laico, il rigore della ricostruzione», conclude Graldi. 

L'ultima volta che si sono visti risale al 10 maggio scorso. Purgatori e Graldi si sono incrociati in uno studio radiologico. «Non ha detto a nessuno di essere malato ma è scomparso, ha chiuso tutti i telefoni, ha spento tutte le relazioni e si è occupato di se», confida Graldi che traccia lo spartiacque dei tipi giornalistici: «La notizia veniva sempre prima di lui, era uno che non amava apparire». E anche all'ultimo non ha voluto essere lui la notizia.

(Ste.P.)