Parkinson, parla il primo paziente sottoposto a intervento: «Con un microchip ho vinto la mia battaglia»

Gabriele Selmi, 66 anni, riesce così a contrastare i tremori e la rigidità della malattia neurodegenerativa. Il neurologo Pietro Cortelli: «Si usa una sorta di pacemaker sottoclavicolare»

Parkinson, parla il primo paziente sottoposto a intervento: «Con un microchip ho vinto la mia battaglia»
di Valentina Arcovio
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Giovedì 16 Maggio 2024, 06:40 - Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 18:35

Una sera sì e un'altra no mi metto in carica quasi come fossi un cellulare e la mattina dopo sono pronto a salire in sella sulla mia bicicletta ea pedalare veloce come non facevo ormai da moltissimo tempo».

Sta benissimo Gabriele Selmi, 66 anni, di Castelfranco Emilia (in provincia di Modena), il primo paziente italiano a cui è stata impiantata la versione evoluta di un microchip in grado di tenere a bada il tremore e la rigidità invalidante causa dal Parkinson . La diagnosi della malattia neurodegenerativa è arrivata 8 anni fa e Selmi ha progressivamente iniziato a perdere alcune funzioni, quali ad esempio il pieno controllo dei suoi movimenti. «A infastidirmi, in particolare, era quel terribile tremore al braccio destro che mi rendeva difficile anche solo pedalare sulla mia bici», racconta. 


L'OPERAZIONE 


Il paziente parla ormai al passato e lo fa con grande entusiasmo. «Perché oggi, dopo l’intervento chirurgico, le cose sono cambiate. Sono più veloce, riesco a spingere i pedali della mia bici quasi come facevo prima della diagnosi», dice. Insomma l’intervento chirurgico a cui è stato sottoposto lo scorso gennaio all’Irccs – Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna gli ha cambiato la vita. «L’impianto di stimolatori nel cervello è una procedura che viene fatta ormai da oltre 30 anni», spiega Pietro Cortelli, direttore operativo dell’Irccs bolognese e tra gli scienziati in prima linea nel progetto Mnesys, il più ampio programma di ricerca sul cervello mai realizzato in Italia. «Ma quello che abbiamo posizionato nel cervello del nostro paziente è un microchip di ultimissima generazione, che consente di stimolare i nuclei profondi del cervello e allo stesso tempo di registrare l’attività motoria del paziente in modo preciso e puntuale, così da consentirci di modulare e personalizzare la stimolazione in base alle sue esigenze». 
In parole povere la procedura, eseguita da un team multidisciplinare di specialisti, è consistita nell’impianto di un elettrodo di 1 millimetro di diametro nel nucleo subtalamico, una specifica regione del cervello coinvolta nella regolazione dei movimenti volontari. Successivamente i neurologi hanno «accordato» l’elettrodo in modo da ottimizzare la stimolazione. 
«L'elettrodo è a sua volta collegato a un sistema che invia la corrente necessaria per la stimolazione», spiega Cortelli. «È simile a un pacemaker cardiaco, che si posiziona nella zona sottoclavicolare». Altra novità del sistema è che può essere ricaricato dall’esterno, quindi il paziente non ha più l’esigenza di sostituire la batteria. «Lo faccio da solo, in autonomia, appoggiando il caricatore sul mio petto, a contatto con il microchip, per circa 10-15 minuti», racconta Selmi. La stimolazione che si ottiene tramite questo microchip agisce bloccando i segnali che provocano i sintomi motori disabilitanti della malattia di Parkinson. «Di conseguenza, è possibile ottenere un maggiore controllo sui movimenti dell’intero corpo – specifica Cortelli –, più di quanto avrebbero potuto assumendo soltanto la terapia farmacologica».
I pazienti, infatti, continuano ad assumere i farmaci. «Io però sto riducendo progressivamente la dose e la frequenza fino a quando un giorno, forse, non ne avrò più bisogno o quasi», sottolinea Selmi. L’efficacia del nuovo dispositivo dipende anche dal fatto che è in grado di registrare in tempo reale la sua attività, permettendo in questo modo ai clinici di osservare con precisione gli esiti della terapiaimpostata, ottimizzandola tempestivamente in funzione della risposta del paziente. «Ho una certa discrezionalità nel controllo della presentazione: se noto un peggioramento del tremore o della rigidità posso aumentare io stesso la offerta fino a un massimo stabilito dai medici», dice Selmi. 
Il paziente ora si gode la sua nuova vita. Di ritorno da una piccola vacanza nel Salento con la famiglia rimarrà in attesa del prossimo controllo, che effettuerà a inizio luglio e poi ogni 4 mesi. «La mia famiglia, mia moglie ei miei due figli, mi sono stati sempre vicino e hanno appoggiato la mia scelta fin dall'inizio» dice Selmi. «Un po' l'ho fatto anche per loro, pensando al futuro, affinché la mia invalidità non sia di peso: è una cosa che non vorrei mai», aggiunge, soddisfatto di aver ripreso il controllo del proprio corpo e della propria vita.


IL PROGETTO 

Selmi è il primo paziente italiano ad aver potuto beneficiare dell'impianto di questo microchip di nuova generazione, ma oggi non è l'unico. Lo stesso intervento è stato effettuato su una decina di pazienti o più, a Bologna e in altre parti d'Italia. Nel frattempo la ricerca va avanti nella speranza di migliorare sempre di più la vita dei malati di Parkinson. «Parte del progetto Mnesys è dedicato alla cerebrale e alla neuromodulazione : stiamo lavorando per mappare il cervello e capire quali aree stimolare per ottenere risultati ancora più efficaci di quelli ottenuti fino a oggi», concludono Cortelli, convinto che la ricerca potrà presto spostare sempre più in là l'asticella dell'efficacia delle cure contro il Parkinson.

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