Il maestro Daniele Gatti dirige Tosca al Maggio Fiorentino: «Anche nelle opere più note, sono ancora tanti i segreti da svelare»

Il maestro Daniele Gatti, direttore musicale del Maggio Fiorentino, nuovo direttore principale della Staatskapelle di Dresda, indicato dall’attuale cda della Scala come direttore musicale del teatro milanese dal 2026, il 24 maggio, dopo 22 anni, ritrova una delle eroine più amate della lirica italiana

Il maestro milanese Daniele Gatti
di Simona Antonucci
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Sabato 18 Maggio 2024, 06:20

«Quando leggiamo un romanzo, entriamo in una casa, immaginiamo gli abiti, i volti dei personaggi. Sentiamo il profumo. Costruiamo il nostro film. Che spesso è diverso da quello che poi ci capita di vedere nelle varie trasposizioni cinematografiche. Avvicinarsi a uno spartito è un po’ come leggere un romanzo. E avvicinarsi a Tosca è come leggere un romanzo che ha ispirato migliaia di film. Che non sempre riflettono l’emozione che abbiamo provato calandoci nella scrittura di Puccini. Quindi, cosa farò incontrando Tosca? Cercherò di riportare in luce quelle sfaccettature che, secondo me, sono ancora nascoste e condividere con il pubblico la meraviglia».

Il maestro Daniele Gatti, direttore musicale del Maggio Musicale Fiorentino, nuovo direttore principale della Staatskapelle di Dresda, indicato dall’attuale cda della Scala come direttore musicale del teatro milanese dal 2026, il 24 maggio, dopo 22 anni, ritrova una delle eroine più amate della lirica italiana. Un’emozione che condivide (fino all’8 giugno) con l’orchestra del Maggio («sono musicisti che danno del tu a Puccini»), Massimo Popolizio che firma una regia cinematografica ambientata nella Capitale Anni Trenta, e con Vanessa Goikoetxea (Tosca), Piero Pretti e Vincenzo Costanzo (Mario Cavaradossi), Alexey Markov (Scarpia), Gabriele Sagona (Cesare Angelotti).

Secondo lei, come si affronta un’opera rappresentata fino a 700 volte l’anno, nei teatri di tutto il mondo?

«Non c’è nulla che non si possa fare. Tosca è un’opera conosciuta da tutti e amata per il suo aspetto drammatico, estremamente forte. È molto cinematografica. Un noir popolarissimo. La sfida, secondo me, sta nel tornare a interrogare lo spartito. E nel soffermarsi sulla scelta dei tempi. Perché è nel ritmo che è racchiusa la psicologia dei personaggi».

Lei che suono vuole dare a questa donna?

«In Tosca tutto succede in meno di 24 ore. Dall’Angelus mattutino alla fucilazione dell’alba successiva. Lei è una cantante, desiderata, che in amore è vinta da un’estrema insicurezza. Il compositore ce la presenta subito così. Arriva in chiesa, Sant’Andrea della Valle, e trova Cavaradossi, che ama, mentre rifinisce il ritratto di un’altra donna, la marchesa Attavanti. “La ami? Tu la ami?” Gli chiede. E sulla partitura, Puccini, mette due punti di domanda. Ma con la linea musicale discendente va contro la prosodia del testo, perché vuole insinuare un dubbio: quando si fa una domanda, la linea di solito è ascendente. Lo fa per raccontarci che Tosca non aspetta risposte, ma conforto alla sua gelosia».

Un altro esempio?

«Verdi. Rigoletto. All’inizio, quando il duca di Mantova si intrattiene con Borsa e si arriva all’aria “Questa o quella” che il tenore di solito interpreta quasi fosse un “biglietto da visita”. Ho rivisto la partitura originale e ho scoperto che Verdi suggerisce un andamento lento, quasi impossibile da sostenere. Quindi non un assolo, ma il proseguimento delle chiacchiere con Borsa. Perché poi si sia andati in un’altra direzione, non lo so. Io ho preso la mia strada». Torniamo a Tosca: un’ambientazione nella Roma Anni Trenta che cosa aggiunge alla sua lettura? «La chiave di lettura è suggestiva. Ma una musica non si esegue in stile. La musica è quella. Nel mondo della lirica dirigiamo opere al tempo degli egiziani, babilonesi, ambientate nel Rinascimento o nell’Ottocento, come Tosca. Anche se noi modifichiamo le epoche, possiamo solo constatare che l’animo umano non è cambiato. E spesso non c’è nessun tipo di miglioramento».

Dirigerà quest’opera con l’orchestra del Maggio che lei ha accompagnato da momenti bui, crisi, commissariamento, fino alla luce.

Impegno che le è valso il terzo Premio Abbiati: ha un valore speciale?

«La motivazione mi ha commosso. Perché va aldilà dell’impegno professionale. E sottolinea che nel momento di difficoltà, nessuno ha abbassato la guardia. La amo questa orchestra. Ha desiderato di non lasciarsi andare».

Al Maggio ha rincontrato un compagno di avventura, Carlo Fuortes, ora sovrintendente del Maggio, ma precedentemente alla guida del Costanzi mentre lei era direttore musicale: quali sono i temi su cui vi siete ritrovati?

«È un caro amico, siamo sempre rimasti in contatto. Abbiamo subito messo insieme il programma autunnale. Un progetto sulle sinfonie di Brahms e un concerto. Il periodo romano è stato molto fertile e conservo ricordi indelebili di quei giorni».

E dopo la Tosca al Maggio, Roma la aspetta per altri appuntamenti prestigiosi.

«Il gala verdiano che il 30 maggio porto a Santa Cecilia è un programma che presentai 30 anni fa, quando ero direttore musicale dell’Accademia. L’ho ripetuto in altre sedi e funziona così com’è, una festa verdiana».

E poi, tra il 18 e il 27 giugno, affronterà l’integrale delle sinfonie di Beethoven, sempre con l’orchestra di Santa Cecilia. In occasione dell’anniversario della Nona, le andrebbe di presentarla?

«Ogni sinfonia è una piccola gemma. Con il cuore sono più vicino all’Eroica e alla Pastorale. Ma non posso negare che la Nona vada aldilà: la presenza del coro e dei solisti apre orizzonti ai compositori che verranno. Mahler per esempio. Ma è la Sesta quella che mi mette in contatto con il Beethoven più intimo e meno titanico, che mi interessa meno».

Quindi una maratona internazionale che inizia il 31 agosto con l’inaugurazione della sua prima stagione da direttore principale della Staatskapelle di Dresda, tra le orchestra più antiche al mondo. E prosegue il 28 settembre quando aprirà l’anno dei Wiener, in attesa di tornare a Bayreuth, nel 2025, per la nuova produzione dei Maestri Cantori.

«A Dresda sarà il mio primo concerto da direttore principale. L’inizio di un’avventura meravigliosa. L’orchestra la conosco da 25 anni. Fu Sinopoli a chiamarmi la prima volta. A Vienna mancavo da qualche anno. Con i Wiener ci frequentiamo dal 2005, ma questa è una bellissima occasione, perché partiremo per una lunga tournée. A Bayreuth torno dopo 14 anni con una delle opere che amo di più: i Cantori che sono una summa dell’arte wagneriana».

Lei è un’eccellenza italiana nel mondo: come vede dall’estero il panorama musicale del suo Paese?

«Ogni Paese ha i suoi problemi, ma io sono sempre stato messo nelle condizioni di lavorare bene. All’estero non è tutto oro quello che luccica e da noi non è tutto ottone. Ho studiato a Milano e ho ricevuto una formazione che non ha nulla da invidiare, anzi forse è migliore di tanti conservatori stranieri. E ho diretto le orchestre di Santa Cecilia, dell’Opera di Roma, Bologna, Firenze, i Pomeriggi musicali. Non ho mai lasciato l’Italia. E sarò sempre grato al mio Paese delle opportunità che mi ha offerto. Guai dimenticare».

Oltre a una carriera prestigiosa, che cosa le ha regalato la musica?

«Io ho debuttato nell’80, 44 anni fa. E sono ancora Daniele, che ha cominciato il conservatorio, a 11 anni. Stamattina ero a studiare, come quasi tutte le mattine. Sono credente e ho sempre amato la parabola dei talenti. Penso di aver ricevuto dei talenti e sento di dover restituire dieci volte tanto». 

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