Abituato a prendere in giro chi per darsi un tono parla di “step per realizzare la mission”, disquisisce di “mànagement” alla vaccinara, anche il più oltranzista difensore dell’italiano leggerà questo saggio con sollievo (Edoardo Vallauri, Le guerre per la lingua, Einaudi, dal 16 in libreria). Professore di linguistica a Roma Tre, l’autore, oltre ad studiare i meccanismi che permettono a una lingua di funzionare (grammatica, morfologia, sintassi, fonetica, vincoli di economia del locutore, cioè fare il minimo sforzo per la massima chiarezza) è un osservatore dei costumi, dotato di ironia.
I FILTRI
Per cominciare, dedica il libro “A Deb, mia sostegna”, lasciando intuire da che parte sta. Subito dopo avverte: le guerre per il controllo della lingua ci sono sempre state, perché sin dai tempi dell’assolutismo e del totalitarismo le parole e il loro significato influiscono sui modi di pensare.
GLI OLTRANZISTI IN AGGUATO
Sempre in chiave di moderazione, il professore affronta anche altri calchi più irritanti per gli oltranzisti: attitudine non è più la dota innate verso la musica o la poesia, ma un semplice atteggiamento. Confidente non rinvia più alla nutrice dei drammi antichi o all’informatore di polizia, ma sostituisce l’aggettivo fiducioso. Consistente non significa dotato di spessore, bensì coerente, con un’ipotesi, un progetto... La prospettiva del professore però resta chiara: meglio la tolleranza che la censura. Volete sentirvi à la page, volete attingere al prestigio di una lingua da angiporti che nella sua barbara semplicità ha conquistato il mondo? Usate pure gli anglismi come vi pare e piace, spiega ai lettori, tanto non minano le strutture dell’italiano. Anche se non rinuncia a bollare come «ingenui e culturalmente succubi» quelli che abusano di step, stake holders, mission e performance. E accusa chi organizza dei “webinar sulla smart resilience” non di usare male la lingua, ma usare la testa da parvenu intellettuale.
CONTRO IL SESSISMO
Il tono si fa più intransigente in tema di genere e di battaglie contro il sessismo. Tolleranza zero per la schwa tanto amata da Michela Murgia & friends, perché spiega il prof. in italiano il maschile resta il genere morfologico non marcato. E se la diffidenza verso termini come avvocata, ministra, assessora, membra del cda, è indice di un attaccamento a vecchie abitudini, resta il fatto che quando Giorgia Meloni si fa chiamare il Presidente del Consiglio, e Beatrice Venezi e Serena Sileone ci tengono ad essere chiamate direttore d’orchestra e direttore dell’Istituto Bruno Leone, hanno ragione da vendere. Non si può sostenere che le donne debbano scegliere liberamente il proprio destino e poi pretendere che non siano neanche libere di decidere il loro appellativo professionale.