L’ambasciatore Massolo: «L’intolleranza politica sta dilagando, urgente la reazione delle democrazie»

Le parole dell'ex segretario generale del Ministero degli Affari Esteri, intervistato dopo l'attentato in Slovacchia

L’ambasciatore Massolo: «L’intolleranza politica sta dilagando, urgente la reazione delle democrazie»
di Mauro Evangelisti
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Venerdì 17 Maggio 2024, 07:00

Le democrazie occidentali devono recuperare i valori del dialogo e del riconoscimento delle idee opposte, altrimenti si alimenterà un clima di violenza che si manifesta in episodi come quello della Slovacchia. Spiega l’ambasciatore Giampiero Massolo, ex segretario generale del Ministero degli Affari Esteri: «Urge riportare il dibattito sui temi concreti, parlare chiaro, delle sfide, della complessità dei problemi. Solo così si smina l’odio».

Ambasciatore, cosa ci raccontano i colpi di pistola esplosi contro Robert Fico, primo ministro slovacco, nel cuore dell’Europa?

«Una premessa: non è proprio consueto che un poeta spari quattro colpi all’addome di un primo ministro. Saranno necessari approfondimenti degli investigatori slovacchi. Ci sono però già alcune chiavi di lettura: una locale, perché la Slovacchia ha delle peculiarità, con una forte polarizzazione politica; ci sono delle asserite infiltrazioni di criminalità organizzata. Nel 2018 il primo ministro Fico si era dimesso per l’uccisione di un giornalista investigativo e della fidanzata dopo la pubblicazione di una serie di inchieste. Tenuto conto del risvolto locale, però c’è anche un aspetto generale da valutare».

E quanto è preoccupante lo scenario?

«Vediamo una situazione caratterizzata un po’ ovunque nelle democrazie occidentali, non solo europee, da tre elementi. Il primo è la diversità usata come arma. Non c’è più il dialogo, ma prevale un costante clima di scontro. Non c’è più un confronto tra idee diverse, ma le idee sono brandite dagli uni contro gli altri. C’è anche una costante delegittimazione politica. Le parti si negano a vicenda la legittimità a governare. Pensi agli Stati Uniti, dove Trump e i Repubblicani mettono in discussione la stessa capacità, la stessa attitudine di Biden e i Democratici di rappresentare, anche tecnicamente, il popolo americano. Infine, c’è un terzo elemento: lo sdoganamento della violenza. La nostra soglia di indignazione nei confronti della violenza si è alzata. Non ci indigniamo più».

Come siamo arrivati a tutto questo?

«Si è scollata la società. I cittadini ritengono, a torto o a ragione, che le loro istanze una volta portate nella dimensione politica non trovino risposte adeguate. Questo genera forti delusioni e, appunto, uno scollamento della società».

I social media hanno aggravato il male?

«Indubbiamente la semplificazione di questioni complesse porta al bianco e nero, al sì o no, alla presunzione di dare risposte univoche a ogni questione. I governi sono spesso propensi a promettere, salvo poi avere a che fare con le delusioni delle opinioni pubbliche».

L’assalto al Campidoglio negli Usa è stato un turning point, un punto di svolta?

«È stato un importantissimo punto di passaggio di un processo già in corso e che non si è fermato. Si tratta, appunto, di un processo di forte polarizzazione anche della vita politica americana. L’assalto al Campidoglio è stato la sintesi di quanto dicevo prima, trasposto nella realtà statunitense. Ci porta a un paradosso: negli anni siamo stati abituati a considerare gli Usa come elemento stabilizzatore del sistema delle relazioni internazionali; oggi ci troviamo a considerarli come un potenziale elemento di destabilizzazione proprio perché abbiamo a che fare con degli Stati Uniti sempre più attenti alle loro realtà interne, sempre più frammentati».

Al di là dei fatti della Slovacchia, di recente ci sono state pesanti aggressioni di candidati in Germania.

«Oggi si pensa che la violenza politica possa essere un’utile scorciatoia per perseguire i propri obiettivi. L’Europa deve fare una riflessione profonda. È la classica situazione in cui è urgente recuperare quel patto di solidarietà tra istituzioni e cittadini. L’Europa dovrebbe mostrarsi più attenta, più vicina, un po’ come avvenuto con l’ondata di consenso successiva all’approvazione del Next Generation Eu. È urgente il ripristino del ruolo di leadership: alle opinioni pubbliche va parlato con chiarezza. Va aumentata la consapevolezza della complessità dei problemi. Il dibattito politico va riportato sulle questioni concrete che sono quelle della sicurezza e dell’eliminazione dei divari sociali. Quando dico sicurezza non parlo solo di ordine pubblico, di migrazioni, ma mi riferisco anche alla sicurezza materiale: non ci saremmo aspettati di trovarci nelle condizioni in cui avremmo dovuto riprendere in mano la difesa dei confini dell’Europa».

La guerra in Ucraina è a tre ore di volo. E sappiamo che da molti anni da Mosca ci sono costanti infiltrazioni, diffusioni di fake news sui social network, azioni che puntano a ridurre la fiducia nelle nostre classi politiche influenzando le opinioni pubbliche. Questo ha alimentato l’imbarbarimento del clima politico?

«Le potenze che non si riconoscono nell’ordine mondiale liberale tendono ad agire per esasperare le contraddizioni. I loro tentativi di influire sfruttano e alimentano questa tensione. Minare la stabilità sociale dell’Occidente, dividere i paesi europei, dividere le due sponde dell’Atlantico: sono obiettivi politici costanti della Russia. A maggior ragione oggi».

Cambierà la campagna elettorale delle elezioni europee? Andrà garantita la sicurezza dei candidati?

«Certo, ma va sempre tenuto presente che il rischio zero non esiste. Urge riportare il dibattito sui temi concreti, parlare chiaro, delle sfide, della complessità dei problemi. Si smina l’odio parlando del concreto».

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