Renzi, ultimatum ai dem: se non passa la riforma del lavoro si vota

Renzi, ultimatum ai dem: se non passa la riforma del lavoro si vota
di Alberto Gentili
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Sabato 20 Settembre 2014, 06:11 - Ultimo aggiornamento: 10:10
Matteo Renzi sulla riforma del lavoro non arretra di un solo millimetro. Ed pronto ad usare la minaccia delle elezioni anticipate per piegare la resistenza della minoranza del Pd: «Sono stufo della battaglie ideologiche e di retroguardia, qui si tratta di dare tutele a tutti superando l'apartheid tra lavoratori garantiti e quelli senza diritti», ha confidato, «e se questa riforma verrà negata, si andrà sparati alle elezioni. Sarebbe dannoso per il Paese vivacchiare nella palude dei veti».



Il video diffuso a metà pomeriggio su Twitter e Facebook, dopo che Susanna Camusso l'aveva paragonato alla Thatcher e Pier Luigi Bersani aveva annunciato una «valanga di emendamenti» e «sicura battaglia», la dice lunga sulla determinazione di Renzi.



In quel filmato il premier se la prende con la leader Cgil e i sindacati (perfino l'amico Landini l'ha attaccato a testa bassa), ma in realtà inquadra nel mirino anche la minoranza del Pd. Le accuse sono pesanti: sulla base di un pregiudizio ideologico avete colpevolmente favorito la creazione della Grande Ingiustizia, quella che ha diviso i lavoratori tra cittadini di serie A e serie B e negato i diritti ai precari. «Il governo, invece, pensa a una riforma in cui i lavoratori sono tutti uguali». Un antipasto di «quanto dura sarà la guerra» e di «quanto forte sarà la mia determinazione».



L'obiettivo di Renzi è arrivare al sì del Senato sulla legge delega denominata Jobs act entro l'8 ottobre. Proprio quel giorno a Milano si riunirà infatti il vertice europeo convocato dal premier per parlare di occupazione. «E all'estero, dal Fmi alla Bce, dalla Commissione europea ai mercati finanziari», dicono a palazzo Chigi, «attendono la svolta sul mercato del lavoro per avere certezza che facciamo sul serio e per concedere all'Italia quella flessibilità sui conti indispensabile per evitare nuove manovre lacrime e sangue».



LA ROAD MAP PER IL SÌ

Prima dell'8 ottobre, Renzi lavorerà a ingabbiare la minoranza Pd. Lo schema che utilizzerà sarà quello risultato vincente in estate per incassare il via libera di palazzo Madama alla riforma del Senato: il 29 settembre riunirà la Direzione del partito. E lì otterrà, «a stragrande maggioranza», il sì del Pd alla riforma del lavoro. Ma per ottenere quel sì, il premier dovrà mantenere coperte alcune carte. La più importante (e delicata): se abolire il reintegro in caso di licenziamento illegittimo solo per i neo assunti (come attualmente prevede il Jobs act), o se cancellarlo anche a chi il reintegro ce l'ha. «Di queste cose», dice un consigliere economico di palazzo Chigi, «ce ne occuperemo solo dopo, con i decreti attuativi...». La minoranza ha però già fiutato il pericolo e si scaglia contro la concessione di «deleghe in bianco».



Se la battaglia in Parlamento sarà più dura del previsto, Renzi (che non vuole affidarsi ai voti offerti da Silvio Berlusconi) si troverà davanti a un bivio: procedere con un decreto, oppure porre la questione di fiducia, a dispetto delle rassicurazioni dei vicesegretari Guerini e Serracchiani. «E a quel punto», dice un renziano doc, «sarà interessante vedere se i ribelli guidati da Bersani & C. manderanno a casa il governo al prezzo di andare alle elezioni e di perdere la poltrona». In ogni caso, per addolcire la pillola e ammorbidire la minoranza, a palazzo Chigi lavorano a rastrellare i 2 miliardi necessari per i nuovi ammortizzatori sociali.