Salva Roma: tagli, vendite e liberalizzazioni. Ecco la cura imposta a Marino

Ignazio Marino
di Andrea Bassi
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Sabato 1 Marzo 2014, 07:55 - Ultimo aggiornamento: 2 Marzo, 09:18

La sfida si chiama piano di rientro. Perch se vero che il governo ha di nuovo salvato Roma, questa volta Palazzo Chigi ha voluto dettare le sue condizioni. Il Campidoglio dovrà risanare i suoi conti, e dovrà farlo seguendo una ricetta già delineata nel decreto varato ieri dall’esecutivo guidato da Matteo Renzi. In cambio dei 600 milioni di euro ottenuti dalla gestione commissariale (570 milioni più altri 30 milioni di anticipazioni), Ignazio Marino dovrà presentare un dettagliato progetto in grado di chiudere in poco tempo il «buco» strutturale dei conti della Capitale.

Per farlo dovrà tener conto dei diktat inseriti dal governo nel decreto Salva Roma ter, a cominciare dalla «ricognizione dei fabbisogni di personale nelle società partecipate». Una frase fumosa, ma solo fino ad un certo punto, dietro la quale si intravede la richiesta di indicare piani di esubero e di ricollocazione del personale di municipalizzate come Atac (trasporti) e Ama (rifiuti) imbottite negli anni di assunzioni clientelari.

Per le due società, che con i loro passivi sono state una delle cause principali del dissesto dei conti di Roma, è previsto anche l’obbligo di «adottare modelli innovativi per la gestione dei servizi» anche «ricorrendo alla liberalizzazione». E liberalizzare significa che il mercato dello spazzamento delle strade e quello dei trasporti saranno aperti alla concorrenza dei privati. Anche le partecipate cosiddette «minori» dovranno essere coinvolte nel piano di risanamento. Per queste si aprono le porte per la «dismissione o la messa in liquidazione». Sotto la lente finiranno società come Risorse per Roma, che ogni anno incassa dal Comune quasi cinquanta milioni di euro per effettuare attività di pianificazione urbanistica, una funzione che potrebbe benissimo essere svolta dal Campidoglio. Così come per Zetema, che ottiene ogni anno dall’amministrazione una quarantina di milioni di euro per gestire il polo culturale. Tutte le società, poi, dovranno sottostare ai vincoli che valgono per i municipi che sforano il patto di stabilità per quanto riguarda le assunzioni del personale e l’acquisto di beni e servizi. Di fatto significherà un blocco per il turn over e un taglio alle spese.

LE VERIFICHE

C’è poi il capitolo della valorizzazione e della dismissione del patrimonio immobiliare del Comune, una misura che apre ad un nuovo piano di vendita dei beni del Campidoglio. Ma la novità è anche un’altra. Per il Comune sarà difficile sottrarsi ai «compiti a casa» che il governo ha deciso di imporre recependo praticamente in toto la norma votata al Senato (l’emendamento Santini) e che era stata fortemente osteggiata alla Camera dal Pd, soprattutto nella sua componente romana.

Il terso decreto per il salvataggio di Roma prevede che l’obbligo per il Comune di Roma di trasmettere ai ministeri dell’Interno e dell’Economia e delle Finanze e alle Camere il piano di rientro al «fine di consentire la verifica della sua attuazione». La giunta romana insomma, sarà messa sotto stretta osservazione. Non ci saranno solo il Tesoro e il ministero dell’interno a vegliare sugli impegni del Campidoglio, anche la Camera dei Deputati dovrà esprimersi e verificare che il piano di rientro rispetti le indicazioni inserite nel decreto del governo. «Siamo molto soddisfatti», dice la senatrice di Scelta Civica Linda Lanzillotta, che sui vincoli agli aiuti per Roma ha fatto una lunga battaglia. «Stavolta il governo», ha aggiunto la senatrice, «non ha trasferito risorse senza chiedere nulla in cambio».

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