Elena Cecchettin: «Ribelliamoci alla violenza patriarcale». Ma viene contestata in pubblico. Gino Cecchettin: a Giulia non potrò più dire ti amo

La sorella di Giulia parla al Salone del Libro di Torino, il papà lancia una fondazione nel nome della figlia

Elena Cecchettin: «Ribelliamoci alla violenza patriarcale». Ma viene contestata in pubblico. «Giù le mani dai bambini»
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Domenica 12 Maggio 2024, 15:24 - Ultimo aggiornamento: 17:26

«È giunto il momento di mettere in discussione l'idea stessa di forza e di esplorare altre forme di potere, quelle che non si basano sull'oppressione e sulla coercizione». È l'invito di Elena Cecchettin, attivista e sorella di Giulia, assassinata l'11 novembre 2023 dall'ex fidanzato Filippo Turetta, sul palco dell'Arena Robinson Repubblica al Salone del Libro di Torino dove è venuta il 12 maggio con il suo monologo di dieci minuti dedicato alla resistenza e all'autodeterminazione.

Elena Cecchettin, la violenza e la contestazione

Sulla t-shirt nera che indossa la scritta "Stop al genocidio", i capelli raccolti in trecce, Elena Cecchettin è emozionata mentre legge il suo monologo. In prima fila ad ascoltarla il padre Gino Cecchettin, al Salone con "Cara Giulia" (Rizzoli), il libro scritto con Marco Franzoso.

Il pubblico la ascolta in silenzio, poi inizia un dialogo con Alessandra Chiricosta su Resistenza femminista: la forza di liberare il proprio spazio e irrompe sulla scena una contestatrice che urla «Vade retro Satana. Il patriarcato è un insulto in confronto a voi. Le bestie hanno mantenuto l'istinto materno, voi invece uccidete i vostri figli» con un rosario in mano. Allontanata, la contestatrice poi ritorna: «Giù le mani dai bambini. Non si uccidono». Piccolo momento di turbamento, ma poi l'incontro prosegue. «Penso che tutto il corpo della donna sia sotto attacco. Guerra nella guerra. Quando si tratta di conquistare territori lo stupro è considerato arma di guerra. Un modo per dimostrare di essere più potenti» dice Elena, che non vuole parlare con i giornalisti né farsi fotografare.

Gino Cecchettin: «Da Giulia ho imparato ad essere meno maschio Alfa»

Lottare «per liberarci dalle catene del patriarcato e dalla violenza che questo permette. Viviamo in un mondo che continua a essere plasmato da concetti arcaici di dominio e sottomissione, dove il tentativo di sopraffare l'altro è il metodo principe per dimostrare la propria forza. Forza bruta, aggressione - sottolinea Elena Cecchettin - Questo mondo, pregno di strutture e comportamenti patriarcali vuole che le donne stiano zitte, a subire, ad adempiere al ruolo che la società ci ha riservato, ad accettare i soprusi e le mancanze di rispetto, anche quando sentiamo di esserci distaccate dal ruolo di 'angelo del focolarè, se prestiamo attenzione non siamo comunque considerate al pari degli uomini che occupano il nostro stesso ruolo». «Per questo dobbiamo essere rivoluzionarie, riprenderci lo spazio che ci spetta, smettere di farci piccole per rispettare quelle che sono le aspettative della mascolinità fragile che ha bisogno di dominare per sentirsi appagata, che come un oppressore ci vuole zitte e ubbidienti - continua - La storia ci insegna che le libertà delle donne sono state conquistate a fatica, spesso dopo anni di lotta e sacrificio. Ma anche oggi, nonostante i progressi, le donne continuano a essere trattate come cittadine di seconda classe. La libertà di scelta riguardo al proprio corpo è ancora una battaglia in corso, una battaglia che non dovrebbe nemmeno essere necessaria in un mondo giusto ed equo. La cultura dello stupro, radicata nel tessuto stesso della nostra società, legittima ogni forma di violenza e di sopraffazione nei confronti delle donne».

Gino Cecchettin: «Quando sento la rabbia che cresce mi concentro su Giulia e ogni odio svanisce»

«L'aggressione, lo stupro e il femminicidio non sono semplicemente dei delitti passionali, ma atti di potere, modi per mantenere le donne nel loro 'postò e per punirle quando osano sfidare quello che viene percepito come l'equilibrio naturale delle cose - osserva anche la sorella di Giulia - In questo mondo, però, c'è chi resiste, e innalza la propria voce per sfidare la normalità che legittima e giustifica coloro che perpetuano violenza. Per questo bisogna opporsi e contestare questo sistema che ci vuole rinchiuse e obbedienti». «La resistenza è sempre stata parte integrante della storia delle donne - ricorda - Prendiamo esempio dalle donne del passato che hanno sempre lottato, anche quando il loro nome non è mai stato menzionato. Il 25 aprile, da poco trascorso, segna una data importantissima per la nostra storia, la Liberazione dal regime fascista. Partigiani e partigiane hanno deciso di resistere ad un regime che violava la libertà, un regime violento che reprimeva a forza i cittadini. Durante la lotta partigiana, le donne hanno combattuto per la propria libertà e per riprendersi quegli spazi che erano stati loro negati, poiché viste come unidimensionali, e tenute ad adeguarsi al copione che era stato scritto per loro».

 

«Si stima che siano state almeno 70mila le donne che hanno avuto un ruolo attivo nella Resistenza, nonostante non vengano ricordate tanto quanto i compagni, la loro partecipazione è stata fondamentale. Dopo la guerra gran parte di queste donne sono dovute tornare al ruolo a cui la società le designava, ma la resistenza e il desiderio di emancipazione non sono mai terminati - continua - E oggi, più che mai, è necessario continuare quella lotta per liberarci dalle catene del patriarcato e dalla violenza che questo permette. Opponiamoci e ribelliamoci alla violenza, alla violenza di genere, a tutte le forme di violenza. È compito degli uomini utilizzare il loro privilegio e il loro potere per smantellare le strutture patriarcali che li favoriscono. Siamo d'esempio alle generazioni future ed educhiamo su valori di rispetto, uguaglianza e consenso». Secondo la ragazza è il «momento di mettere in discussione l'idea stessa di forza e di esplorare altre forme di potere, quelle che non si basano sull'oppressione e sulla coercizione. La lotta contro la violenza è una lotta per la libertà e per la dignità».

GINO CECCHETTIN

«Giulia era una persona buona. Aiutava chiunque ne avesse bisogno, non sopportava la violenza. Con uno sguardo ti metteva dalla parte del torto. Oggi è il simbolo della lotta contro il femminicidio». Così Gino Cecchettin parla della figlia Giulia, al Salone del Libro dove porta "Cara Giulia" e annuncia, in un incontro molto toccante, la nascita «a ottobre, al massimo novembre» della Fondazione Giulia per per fare formazione nelle scuole promuovendo il dialogo e la prevenzione della violenza. «Vogliamo che il suo nome sia associato a un messaggio di speranza e di cambiamento», spiega. Di Filippo, l'assassino di Giulia, dice: «Doveva accettare il suo no, probabilmente avrebbe trovato un amore più grande e avrebbe passato con lei il resto della vita anziché dove si trova ora». «Ora so quanto è importante un abbraccio. Ma a Giulia io non potrò più dire ti amo. Ho scritto il libro perché si era tagliata una pellicola. Cercavo un contatto, tutti i non detti, gli abbracci, quello che un padre vuole dare alla figlia e non lo può fare» spiega. «Da mia figlia ho imparato a essere gentile e un pò meno maschio alfa. Quando Elena (la sorella di Giulia, ndr) mi ha parlato per la prima volta di patriarcato ho preso il dizionario e ho capito che aveva ragione. A Giulia è stata negata la possibilità di essere libera. Io supporterò Elena nella sua lotta, anche su alcune tematiche abbiamo punti di vista diversi la sosterrò sempre».

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