Oumar, bambino migrante in viaggio da solo (a 8 anni) dal Mali all'Italia: «Papà, scusa se non te l'ho detto»

È fuggito da casa ed è arrivato ad Ancona dopo aver attraversato prima il deserto e poi il mare

Oumar, bambino migrante in viaggio da solo (a 8 anni) dal Mali all'Italia: «Papà, scusa se non te l'ho detto»
di Raffaella Troili
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Giovedì 21 Marzo 2024, 00:17

 «Io ce l’ho fatta. Ora, quando vado a scuola?». Non è solo una storia di coraggio e di salvataggi, quella di Oumar Namoko, 8 anni e mezzo e gli occhi di chi da solo ha scelto di vivere o morire, rinascendo dopo quattro mesi di viaggio verso l’Italia. Il suo è un caso a sé. Ha viaggiato per 7mila chilometri, è stato rinchiuso, ha lavorato, si è sostentato da solo. Dal villaggio di Tambaga, nel sud ovest del Mali, teatro di continui attacchi jihadisti, Oumar è fuggito perdendo i contatti con la famiglia. A piedi, nel deserto, fino a Tripoli, aggregandosi a vari gruppi, ma sempre un po’ in disparte, ha raccontato chi ha viaggiato al suo fianco. È caduto in mano alle bande libiche che gestiscono i flussi di migranti, è stato detenuto in un lager dove ha subito maltrattamenti (ha il malleolo fratturato e altre cicatrici). Non ha perso la speranza, né il sorriso, lo stesso con cui ora ad Ancona chiede di studiare, lavorare, chiamare il papà per raccontare la sua impresa. E ridere di gioia. «Ce l’ho fatta, sono dall’altra parte, sono in Europa», ha detto felice al genitore incredulo, che non lo sentiva da 4 mesi.

La salvezza non è stata semplice.

Salito su una barca che non è riuscita a fuggire ed è stata intercettata dai libici, si è prestato a lavorare come saldatore e imbianchino a Tripoli, poi è fuggito di nuovo al fianco di un altro Oumar, ragazzo più grande di lui, su un’imbarcazione intercettata dalla Ocean Viking della ong Sos Mediterraée, arrivata ad Ancona lunedì sera, stracolma, a bordo 336 naufraghi salvati in quattro diversi soccorsi. «È un bambino dagli occhi vivi, intelligenti, capace e brillante - racconta Alessandro Maria Fucili, direttore del Ceis di Ancona - ci divide l’alfabetizzazione limitata, parliamo in francese. Dice che è del 2015, non sa la sua data di nascita». Oumar non racconta ciò che ha passato e chi lo ha accolto non lo forza a parlare. Disegna, «spesso un uomo, una figura stilizzata che non sappiamo interpretare. Ha anche realizzato un arcobaleno, non era abituato a usare i colori». 

Di sicuro «è partito senza dire niente alla famiglia». Quando ha chiesto di telefonare al padre «abbiamo capito che erano quattro mesi che non si sentivano. Il papà era sorpreso, incredulo, lui diceva felice, come avesse vinto le Olimpiadi: “Papà io sono di qua, dall’altra parte, in Europa”, il padre non ci credeva, diceva non è possibile, Oumar era felice, radioso, ripeteva “papà ce l’ho fatta, io sono qua”. Ad Ancona si trova nella casa dei bambini. «Di lui non sappiamo niente - ripete Fucili - e non vogliamo saperlo. Quando avrà voglia, si confiderà con chi vuole lui. È sceso dalla nave avvinghiato a una sorta di fratello maggiore, un bravo ragazzo che ora è in un altro centro di accoglienza». Con il papà si è sentito due volte, telefonate in cui ridendo Oumar sembrava raccontare la sua impresa: ha dormito per strada, ha lavorato per raggiungere la Libia, è stato in prigione. «Ora è alla scoperta dell’Italia, si guarda intorno, osserva curioso, vuole andare a scuola. Dice di saper fare il saldatore e l’imbianchino, anche a Tripoli l’ha fatto per mantenersi. Stiamo avviandolo alla normalità, andremo nelle scuole più inclusive, dove c’è maggiore integrazione, per chiedere aiuto. È il più piccolo tra gli sbarcati».
Una cosa è certa. Al telefono con il padre incredulo, rideva, di gusto. «Colpisce la resilienza di questo ragazzino, ma tutti quanti gli sbarcati, stravolti, stanchi erano comunque sorridenti, come se coscienti di essere in un posto sicuro». Dopo esser attraccati a Siracusa sono arrivati ad Ancona. «Tutto più difficile, così è difficile far lavorare le organizzazioni umanitarie, ma noi continuiamo ad accogliere nonostante le difficoltà».

GLI SBARCHI
In tutto sono sbarcati ad Ancona 336 migranti, di cui 42 minori. Sono sopravvissuti, altri non ce l’hanno fatta, morti per disidratazione, ipotermia, gettati in mare. Se Oumar ce l’ha fatta, ostinato, altri non hanno avuto la stessa sorte. A bordo della Ocean Viking, c’era Gabriele Zoja, 48 anni, manager alla Bocconi, che ha donato 50mila euro alla Sos Mediterranée e chiesto se c’era un posto per partecipare alla missione. Si tratta dell’ottavo approdo di una nave umanitaria nel giro di poco più di un anno per il porto di Ancona: la macchina organizzativa messa a punto dalla Prefettura con l’apporto della Questura (il prefetto Saverio Ordine era sulla banchina 19) è ormai rodata tra istituzioni, protezione civile, volontariato. Ad accogliere i migranti, sotto la pioggia, una grande rete di accoglienza. E una commozione diffusa. Perché negli occhi di Oumar e gli altri c’era un incredibile spiazzante bagliore di gioia.
 

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