Houellebecq incontra Lovecraft, il tessitore di incubi

Esce l'8 maggio per Wudz il libro dedicato al maestro americano dell'horror

Houellebecq incontra Lovecraft, il tessitore di incubi
di Michel Houellebecq
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Domenica 5 Maggio 2024, 06:50

Pubblichiamo la prefazione scritta da Michel Houellebecq al suo stesso saggio “H.P.Lovecraft, Contro il mondo, contro la vita”, in uscita il prossimo 8 maggio sul maestro dell’horror americano. Il libro (edito in Francia nel 1991) è edito da Wudz edizioni, nuovo marchio che ha esordito lo scorso marzo. Nella prefazione, Stephen King spiega perché il genio di Lovecraft ha influenzato moltissimi autori posteriori, da Flannery O’Connor e Tennessee Williams fino a Robert Bloch e Joyce Carol Oates. «Tutta la letteratura, ma soprattutto la letteratura weird e fantasy - scrive King - è una caverna dove i lettori e gli scrittori si nascondono dalla vita». Il saggio di Houellebecq, sostiene lo scrittore del Maine, può far venire voglia di vedere questo autore sotto una nuova luce, e «se vi state avvicinando al Faraone Nero di Providence per la prima volta, la strada da percorrere non potrebbe essere più stimolante o eccitante».
Houellebecq racconta in questo libro i segreti di uno scrittore che ha ispirato più film e videogiochi di chiunque altro: «Offrire un’alternativa alla vita in tutte le sue forme, costituire un’opposizione permanente, un permanente antidoto alla vita: questa è la più alta missione del poeta su questa terra. Howard Phillips Lovecraft ha compiuto questa missione».

Quando iniziai a scrivere questo saggio (verso la fine del 1988), mi trovavo nella stessa situazione di altre decine di migliaia di lettori. Avendo scoperto i racconti di Lovecraft all’età di sedici anni, mi ero immediatamente tuffato in tutte le sue opere disponibili in francese. In seguito, seppur con interesse decrescente, avevo esplorato i continuatori del  mito di Cthulhu, nonché gli autori a cui Lovecraft si era sentito vicino (Dunsany, Robert Howard, Clark Ashton Smith). Spesso tornavo comunque ai “grandi testi” di Lovecraft, che non smettevano di esercitare su di me un’attrazione insolita e contraddittoria rispetto ai miei gusti letterari. Ma la sua vita, per me, continuava a rimanere un mistero.

Ripensandoci, mi sembra di aver scritto questo libro come se fosse il mio primo romanzo. Un romanzo con un unico personaggio (H.P. Lovecraft stesso); un romanzo con il vincolo che tutti i fatti raccontati e tutti i testi citati dovessero essere accurati; ma, comunque, una sorta di romanzo. La prima cosa che mi ha sorpreso, scoprendo Lovecraft, è stato il suo assoluto materialismo; a differenza di molti suoi ammiratori, epigoni e studiosi, lui non ha mai considerato i suoi miti, le sue teogonie, le sue “antiche razze” come qualcosa di diverso da creazioni puramente immaginarie. L’altra grande fonte di stupore, per me, è il suo razzismo ossessivo; mai, leggendo le sue descrizioni delle creature da incubo, avrei immaginato che potessero aver tratto ispirazione da esseri umani reali. Per mezzo secolo, l’analisi del razzismo in letteratura si è concentrata su Céline; Lovecraft, tuttavia, è più interessante e più significativo.

Nel suo caso, le costruzioni intellettuali e le analisi del decadentismo giocano un ruolo molto marginale. Come scrittore di narrativa fantastica (uno dei più grandi), riconduce brutalmente il razzismo alla sua fonte primigenia, la più elementare: la paura. La sua stessa vita, a questo proposito, serve da esempio. Un gentiluomo di provincia, convinto della superiorità delle1 proprie origini anglosassoni, provava per le altre etnie un disprezzo vago e distante. Ma il suo soggiorno nei bassifondi di New York cambiò tutto. Queste creature straniere diventarono d’un tratto antagonisti, nemici incombenti, rivali di molto superiori nell’uso della forza bruta. È allora che, in un progressivo delirio di masochismo e paura, arrivò la chiamata al massacro delle razze aliene.

A parte questo, l’indifferenza di Lovecraft nei confronti del mondo è totale.

Pochi autori, compresi quelli più radicati nella letteratura fantasy, hanno fatto così poche concessioni alla realtà. A livello personale, io non ho seguito Lovecraft nella sua insofferenza per il reale. Ma forse ho tratto beneficio da quello che al tempo definivo il suo aver «fatto esplodere la struttura della narrazione tradizionale» tramite l’utilizzo sistematico di termini e concetti scientifici. La sua originalità, in ogni caso, mi è sempre parsa straordinaria. All’epoca scrissi che Lovecraft aveva qualcosa di «non del tutto letterario». Da allora ne ho avuto una strana conferma. Durante i firmacopie dei miei libri, vengo di tanto in tanto fermato da giovani che mi chiedono di autografare una copia di questo libro. Sono ragazzi che hanno scoperto Lovecraft attraverso i giochi di ruolo e i CD-ROM: non l’hanno mai letto, né hanno intenzione di farlo. Eppure, stranamente, vogliono sapere di più sulla sua storia, e sul modo in cui ha costruito il suo mondo, che non si riduce ai soli testi.

Michel Houellebecq



Questo straordinario potere di creare universi, questa forza visionaria, probabilmente mi colpì eccessivamente all’epoca, impedendomi — e questo è il mio unico rimpianto — di rendere il giusto omaggio allo stile di Lovecraft. La sua scrittura, infatti, non si svolge solo nell’ipertrofia e nel delirio; a volte c’è anche una delicatezza, una profondità luminosa piuttosto rara. È il caso, in particolare, di Colui che sussurrava nelle tenebre, un racconto che ho omesso dal mio saggio e che contiene paragrafi come quello che segue: «C’era una bellezza cosmica stranamente rassicurante nel paesaggio ipnotico in cui scivolavamo e ci immergevamo. Il tempo aveva perso la sua strada nei labirinti lasciati alle spalle, e tutto intorno a noi si estendevano le onde orgogliose dell’inquietudine e il fascino ritrovato di secoli scomparsi — antichi boschetti, prati freschi fiancheggiati da fiori autunnali dai colori eclatanti, e in lungo e in largo piccole capanne brune annidate tra alberi enormi ai piedi di cime verticali coperte di rosa canina profumata e di erba di prato. Il sole stesso assunse un bagliore prodigioso, come se l’intero Paese fosse immerso in un’atmosfera di eccezionale esalazione. Non avevo mai visto nulla di simile, se non nei panorami magici che a volte decorano i fondali dei maestri italiani. Artisti come Sodoma e Leonardo avevano concepito simili immensità, ma solo in lontananza e attraverso gli archi dei portici rinascimentali. Noi invece abbiamo scavato nella carne e nel sangue della pittura, e mi è sembrato di trovare nella sua necromania una conoscenza e un’eredità innata che avevo sempre cercato invano».

Qui ci troviamo in un passaggio in cui l’estrema acutezza della percezione sensoriale è molto vicina a provocare un rovesciamento nella percezione filosofica del mondo; in altre parole, siamo nella poesia.
© Wudz Edizioni (2024), traduzione di Damiano Scaramella

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