Sara Drago: «Roma mi ha salvato. La bellezza? Non devo piacere a tutti. Mi sta stretta la definizione di eterosessuale»

La protagonista di “Call My Agent”: ho un problema con la gestione della rabbia. Da giovane ero tremenda, mi è capitato anche di arrivare alle mani

Sara Drago: «Roma mi ha salvato. La bellezza? Non devo piacere a tutti. Mi sta stretta la definizione di eterosessuale»
di Andrea Scarpa
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Domenica 17 Marzo 2024, 00:23 - Ultimo aggiornamento: 08:33

Domani compie 35 anni, e fino al 2022 era una brava attrice di teatro conosciuta solo nel suo circuito e da un pubblico ristretto. Poi è diventata la protagonista della versione italiana della popolarissima serie francese Dix pour cent (Chiami il mio agente), che da noi - misteri del marketing - è stato tradotto in inglese, Call My Agent, e per lei un po’ di cose sono cambiate: è entrata nel cast della serie di Rai1 Imma Tataranni, sostituto procuratore, con Vanessa Scalera, ha girato un film (di Laura Angiulli, che uscirà nei prossimi mesi), ha girato il bis di Call My Agent (dal 22 marzo su Sky e in streaming solo su Now) e ha appena finito di girarne un’altra per Paramount+. Insomma, la ragazza di Muggiò, in provincia di Monza e Brianza, da tre anni trapiantata a Roma, è lanciatissima.

La svolta quando è iniziata?

«Con la pandemia, nel 2020. Senza più lavoro in teatro, dopo la morte di una figura per me fondamentale come Cristina Pezzoli, grande regista teatrale e insegnante, mi sono finalmente trasferita a Roma come lei mi aveva tante volte detto di fare. La prima casa l’ho affittata a Torpignattara. Era il 2021».

E all’inizio com’è andata?

«Roma mi ha conquistato grazie a quello che a volte mi dà anche più fastidio: il caos. Qui è pura vitalità. Quando sono arrivata in città mi sono sentita capita. Torpignattara è un quartiere complicato, fatto di tanti disagi ma è anche forte, colorato e variopinto. E subito mi ha messo in pace con me stessa perché non ero più quella strana, come in Brianza, ma una delle tante». 

Call my agent, red carpet per star capricciose

Strana come?

«Come una che vuole realizzare i suoi sogni. E a Roma per fortuna c’è spazio per tutti. Qui ho anche trovato il fidanzato (Gianni D’Addario, 45 anni, di Altamura, anche lui attore, ndr) e la mia agente».
A proposito, il suo personaggio in “Call My Agent”, l’agente gay Lea Martelli, lavora per artisti del cinema e della tv, è stressatissima, spigolosa e ha una vita privata molto movimentata: le somiglia in qualche modo?
«Sì. Nella determinazione di fuoco, io però non sono stronza come lei. Lo dico con affetto, la sua asprezza mi fa ridere».

Invece la sua agente, Donatella Franciosi, com’è?

«È dolce e si prende cura di me in maniera quasi materna.

Se serve, però, sa anche essere dura e diretta. Ma non ha niente a che vedere con il mio personaggio».

Sul suo sito, donatellafranciosi.com, ho letto che si è risentita per un articolo a lei dedicato in cui veniva definita “una certa Donatella”: l’artista non dovrebbe essere l’attrice?

«Lei è particolare, è un’agente artista, e questo suo modo di essere non mi sembra un ingombro. Con me funziona».

 

Lea Martelli è una gay sciupafemmine: ha mai avuto esperienze di questo tipo?

«Non mi è mai capitato di avere esperienze omosessuali fino in fondo. Mi sono capitati dei baci, degli amoreggiamenti, però più passa il tempo più mi sta stretta la definizione di eterosessuale».

Camille Cottin, l’attrice francese che nella versione originale fa la sua parte, ha un naso con una gobba pronunciata: quando l’hanno scritturata ha pensato al suo?

«Certo. Non ce l’ho storto come Camille, ma non sono Barbie. Cosa che non mi dispiace».

Cos’è cambiato per lei da quando è più esposta?

«Gioco in serie A, con tutto quello che comporta nel bene e nel male. Sono entusiasta, ma è aumentata la pressione e l’ansia si fa sentire. Dimenticavo: è cambiato anche il mio armadio».

Che vuol dire?

«Fino a poco tempo fa vestivo malissimo. Quando quella che poi è diventata la mia stylist è venuta la prima volta a casa mia, e ha aperto l’armadio, ha detto di non averne mai visto uno così brutto a casa di una donna. In realtà mi vestivo come un maschiaccio per nascondere la mia femminilità. L’ho scoperto in analisi. Mi dava fastidio sentirmi giudicata per via della solita stupidissima associazione “sei bella, quindi sei scema e non hai niente da raccontare”».

I suoi riferimenti quali sono?

«Cate Blanchett, per me un’attrice gigantesca. E poi Vanessa Scalera».

Vabbè, ci lavora insieme.

«Non per quello. È bravissima. Viene dal teatro e – come me, più di me – ha fatto tanta fatica per farsi strada. Ha un talento enorme e una fisicità molto fuori dagli schemi».

La bellezza l’ha aiutata?

«Certo. Ma non è giusto che bisogna essere belli e magri per poter lavorare ed essere considerati di più. Sono stufa della dittatura della figaggine a tutti i costi e del terrore per cellulite, rughe e occhiaie».

La cosa più interessante che ha capito in questo ultimo periodo?

«Che non è necessario piacere a tutti. Quando si lavora essere camaleontici va anche bene, nella vita no. Non è necessario essere altro pensando che in quel modo si piacerà di più e si otterrà di più».

Adesso, a 34 anni, vorrebbe più soldi, sesso, o successo?

«Sesso, soldi e successo».

Il 10 marzo a Roma è finito il suo impegno in teatro con “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello. Nel cast c’era anche il suo compagno: non è un po’ troppo lavorare insieme?

«È stato bello, e l’avevamo già fatto (La grande abbuffata di Michele Sinisi, ndr). Nessun problema».

E la sua maggiore esposizione un po’ ne ha creati?

«La competizione, per fortuna, non ci appartiene. Siamo molto ansiosi, quello è il nostro problema».

Mai avuto relazioni tossiche?

«Sì. Da giovane stavo con un uomo molto più grande di me, un attore. Eravamo molto legati, forse troppo. Il peso delle sue parole per me erano quasi lapidarie e quindi mi sono trovata in situazioni che mi hanno portata a fare scelte che oggi mai rifarei. Quel rapporto, che mi ha segnata, limitava troppo la mia libertà».

L’errore peggiore che ha fatto?

«Stavo andando al pub dove facevo la cameriera ed era uno di quei giorni in cui mi sentivo frustratissima. Ero al telefono, andavo veloce, ho perso il controllo dell’auto e sono andata contro un muro. Mi sono fratturata lo sterno e ho sfasciato la macchina che mia mamma con grande sforzo economico mi aveva appena regalato».

Ha fatto la commessa in erboristeria: conosce le erbe?

«Un po’ sì. Mamma mi ha sempre cresciuto con rimedi naturali, prediligendo la medicina alternativa a quella tradizionale».

E conosce anche l’erba?

«Amo la marijuana. L’unica droga mai provata. Le altre mi fanno paura».

In questa fase della vita come si definirebbe?

«Istintiva, sanguigna, selvaggia. Pelosa. Quasi animalesca».

E che animale sente di essere?

«Una scimmia. Perché si arrampica e mi sembra possa andare ovunque senza limiti».

Il difetto che non è ancora riuscita a correggere?

«La gestione della rabbia. Mi è capitato di arrivare alle mani nella mia vita. Da giovane ero tremenda».

Dove nasce quella rabbia?

«Ognuno ha i suoi demoni familiari».

Cioè?

«Diciamo che se hai genitori (papà muratore, mamma ragioniera, ndr) che per loro limiti personali fanno fatica a capire chi sei, una discreta rabbia la covi. Per questo sono passata spesso come la pecora nera della famiglia: dicevo sempre la mia».

I suoi si sono separati?

«Sì. La loro crisi è andata avanti anni. Sono cresciuta con mia nonna materna».

E pensare che nel 2022 ha recitato nello spot del Mulino Bianco...

«Diciamo che la mia è una famiglia da film di Ken Loach».

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