Renzi intanto ha riunito per la prima volta la nuova segreteria, si discute, e alla fine le dichiarazioni sono tutte versus Alfano. Dice Lorenzo Guerini: «Noi da febbraio chiediamo la nuova legge elettorale, non altro». Dice Matteo Richetti: «Se il Pd volesse far cadere Gentiloni, non avrebbe certo bisogno di Ap, avendo dieci volte i voti di Alfano». Un clima che si va surriscaldando e che ha finito per influire sui lavori per la nuova legge elettorale simil tedesca. Anche se, notano un po' tutti, lo scontro politico non ha ancora inficiato la collaborazione fra i tre maggiori contraenti del patto, Pd-FI-M5S, l'accordone e il clima costituente reggono. I problemi, piuttosto, vengono dall'interno delle singole forze, specie nel M5S e nel Pd, mentre FI non mostra crepe, al momento. Dopo l'ennesima riunione tra i parlamentari 5 stelle, è toccato a Roberto Fico lanciare un penultimatum: «Ci sono problemi, nulla è scontato». Con il Pd che subito esprime «stupore», e con il relatore Emanuele Fiano che fa presente come «in commissione il clima sia buono e i cinquestelle con Toninelli non hanno mostrato segnali di rottura».
BATTAGLIA VERA
«L'accordo regge? Non lo so, ma noi ci siamo», commenta a sera Renzi: «Noi abbiamo fatto un'operazione seria e intelligente. La legge elettorale è nelle mani del Parlamento. Noi abbiamo un impegno con il presidente della Repubblica». Conferma Di Maio, che fornisce la linea ufficiale grillina: «Non ci sono ultimatum e non c'è rottura, in questo momento c'è un ampio dialogo e si va avanti». Che cosa era accaduto? E' successo che nella riunione dei parlamentari sono riemerse le divisioni che si può dire da sempre attraversano il M5S, con Paola Taverna che si è fatta portatrice del malumore, di più, della contrarietà di una parte del movimento all'intesa a tre. «Io non mi sarei neanche seduta lì, è quasi un mega Porcellum», e via attaccando. Al punto che qualcuno è sbottato e ha agitato il rasoio: «Ma che vuole, il Tavernellum?», che non è propriamente un sistema elettorale. Quindi la proposta: voto disgiunto, in pratica la possibilità di poter votare uno di un partito nel collegio e un altro partito nel listino. «Non si può fare, se il sistema è proporzionale non si può, e per favore non mettiamoci a fare accordi a geometria variabile, le modifiche o sono di tutti o non si fanno», stoppa sul nascere Ettore Rosato, capogruppo dem. Mentre Fiano, in un Pd che sconta perplessità e malumori tra gli orlandiani e cuperliani, spiega: «Non è affatto un Porcellum, nei collegi sarà battaglia vera, altro che nominati».