Roma, «Aiuto mamma, mi hanno sparato». Il pianto del boss ferito a Tor Bella Monaca

La storia di Giancarlo Tei, il boss emergente capo-piazza: dietro c'è la faida per la droga

Roma, «Aiuto mamma, mi hanno sparato». Il pianto del boss ferito a Tor Bella Monaca
di Valeria Di Corrado e Alessia Marani
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Lunedì 13 Maggio 2024, 06:51 - Ultimo aggiornamento: 14 Maggio, 08:53

Cercava la mamma. Gridava aiuto come fosse ancora un bambino Giancarlo Tei, il boss emergente capo-piazza a Tor Bella Monaca, ferito sabato sera in un agguato di piombo sotto la sua abitazione nei palazzoni popolari di via Scozza. Si trascinava a fatica con il proiettile conficcato nel gluteo e la coscia colpita di striscio, era in lacrime: «Aiuto, aiuto. Mi hanno sparato, sto per svenire». La vita stile Gomorra ha un prezzo: dietro ai soldi facile, ci sono dolore e disperazione. Ventisette anni appena, con alle spalle già un’accusa di omicidio e un’altra gambizzazione subita nel 2015, per Tei pochi giorni fa stava per scattare l’arresto. Per i pm antimafia era l’uomo chiave nella gestione del narcotraffico all’ombra delle Torri, in affari con il pericoloso boss albanese Elvis Demce ma anche con le potenti cosche calabresi di San Luca, con le quali trattava direttamente facendo da collegamento pure per gli alleati del Paese delle Aquile. Chiusa l’indagine che lo avrebbe portato dietro le sbarre, la richiesta di misure cautelari è stata però respinta dal giudice. Niente carcere. Tei, lasciato libero, è così divenuto ancor di più un bersaglio mobile per chi aveva e ha intenzione di regolare i conti a modo suo.

Cinque i colpi esplosi in sua direzione, uno lo ha centrato al gluteo arrivando fino a un rene, un altro di striscio su una coscia.

Volevano ucciderlo, lui è corso in strada cercando di sfuggire al fuoco aperto. Fino ad accasciarsi. Non ha aspettato l’arrivo dell’ambulanza del 118, ma la madre, M. B., anche lei con precedenti, è scesa da casa e senza esitare lo ha caricato in macchina portandolo al pronto soccorso del policlinico di Tor Vergata.

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Chi siano gli esecutori e mandanti dell’agguato di sabato sera è ancora un rebus per gli investigatori dell’Arma che, però, hanno ben chiaro lo scenario in cui si è inserita l’ascesa rapida e “in solitaria” del 27enne, forte anche delle credenziali criminali assicurate dalla famiglia sulla stessa piazza. L’ipotesi è che nella eterna faida di Torbella per accaparrarsi nuovi mercati della droga, la sua spavalderia abbia provocato malumori fino a stravolgere sottili equilibri. Di qui la spedizione per interrompere la scalata.

GLI ATTRITI
Come “capo-piazza” di spessore, Tei, “Lallo”, avrebbe stretto accordi e tenuto contatti con gente “di rango”, a partire da Vincenzo Vallante, detto “Naruto” e dal suo braccio destro Pietro Longo, ras del “ferro di cavallo”, condividendo con loro le stesse strategie evita-carcere per farsi assegnare alle comunità di recupero. Sodale di Demce, l’albanese vicino a Fabrizio Piscitelli, Diabolik, il suo nome appare in altri verbali accanto a quello di Guido Cianfrocca, cognato del boss Peppe Molisso, coinvolto nell’omicidio dell’albanese Selvadi Shelaj a Torvaianica. Ma nella lente dei carabinieri ci sono anche gli attriti con la consistente comunità marocchina dedita allo spaccio in strada con cui Tei potrebbe essere entrato in collisione. Alla vigilia dei 18 anni venne fermato dai carabinieri (e poi rilasciato) con l’accusa di avere ucciso il coetaneo Federico Caranzetti. Ma era sempre minorenne quando colpì un marocchino, reo di avere molestato la madre.

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LE CARTE
Nei giorni scorsi la Procura di Roma aveva notificato a “Lallo” e ad altre 29 persone l’avviso di conclusione delle indagini preliminari con l’accusa di fare parte di un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti capeggiata da Demce e dotata di «mezzi, risorse finanziarie e armi dedita - si legge nel capo di imputazione - all'acquisto, alla detenzione e alla cessione di coca, hashish e marijuana». In particolare Tei «partecipava stabilmente con Demce nelle attività di acquisizione (quale referente su Roma per i fornitori calabresi) e distribuzione all'ingrosso delle partite di narcotico consegnandole ai vari clienti dell'organizzazione».

I pm Francesco Cascini e Mario Palazzi contestano inoltre l'aggravante di aver agito con metodo mafioso «consistito nell'imporre il predominio sul territorio a scapito di altri gruppi criminali».

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