Tullio De Piscopo: «Devo tutto a Pino Daniele, mi disse di cantare e liberò il mio ritmo»

Il celebre musicista napoletano, oggi in scena all’Auditorium, ricorda il sodalizio

Tullio De Piscopo: «Devo tutto a Pino Daniele, mi disse di cantare e liberò il mio ritmo»
di Mattia Marzi
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Lunedì 25 Marzo 2024, 00:01

Un tour all’insegna dell’amicizia fraterna con Pino Daniele e di quel magico sodalizio che quarant’anni fa portò alla nascita di Stop Bajon, quando il cantautore partenopeo era all’apice del successo dopo album come Vai mo’ e Bella ‘mbriana, di cui il percussionista era stato idealmente il motore ritmico. Tullio De Piscopo, 78 anni, leggenda della musica napoletana degli ultimi cinque decenni (era il 1974 quando il percussionista esordì con l’album Suonando la batteria moderna), continua a celebrare il quarantennale della hit che nel 1983 rappresentò la svolta della sua carriera, ancor prima della consacrazione del 1988 con Andamento lento. Stasera il musicista, un curriculum - da far invidia - che comprende collaborazioni con giganti come Astor Piazzolla («Con lui ho inciso dieci long playing, dando il mio ritmo al “nuevo tango” di Libertango»), Quincy Jones, Dizzy Gillespie, Vinicius de Moras e Toquinho, Mina e Adriano Celentano, fa tappa al Parco della Musica con il tour Dal blues al jazz con… Andamento lento. «Devo tutto a Pino», dice. 

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Cosa vide in lei che altri non avevano visto? 
«Fino a Stop Bajon io mi ero sempre limitato solo a suonare per gli altri: fu lui a dirmi di cantare. Era reduce dal concerto dei record in Piazza del Plebiscito a Napoli davanti a 200 mila persone. Mi prese sotto la sua ala protettiva e decise di produrre un mio album. Io in realtà avevo già un accordo per un ellepì con la Curci, etichetta milanese. Stavo per lasciare la casa a Formia in cui vivevamo isnieme. Mi disse: ‘Lascia perdere: l’album te lo faccio fare io’. Gli risposi: ‘Ma come? Ho firmato un contratto, passo i guai’. E lui: ‘Non ti preoccupare, chiediamo la liberatoria’». 
E poi? 
«I discografici di Milano accettarono di liberarmi. Cominciammo a lavorare a questa manciata di canzoni, che poi raccogliemmo nell’album Acqua e viento: io mi occupai della parte ritmica, lui di quella melodica. Tra queste c’era anche Stop Bajon. Sa cos’era il bajon del titolo?». Cos’era? «Un antico ballo latinoamericano. Il ritmo me lo trasmise mio papà, che era a sua volta batterista e percussionista: suonava nell’orchestra del Real Teatro San Carlo di Napoli e nel complesso del Maestro Giuseppe Anepeta, uno dei più famosi arrangiatori della canzone napoletana. Io adattai quel ritmo al mio stile, tra jazz e Neapolitan power. La presunzione era dire: “Basta col bajon, ora beccatevi il mio ritmo”. C’era un piccolo problema, però». 
Quale? 
«A me quel pezzo sembrava impossibile da ballare: era un 7/4, un ritmo dispari, impossibile da seguire.

Dicevo: “Nelle discoteche i ragazzi rimarranno col piede in aria”. Ancora oggi non riesco a spiegarmi il successo di quel singolo, che all’estero è stato remixato da gente come Theo Parrish e Michael Gray, vendendo milioni di copie».

In che modo omaggerà Pino sul palco?

«Suonando, oltre che la nostra Stop Bajon, anche pezzi tratti dal suo repertorio, a partire da Toledo».

Il suo amico James Senese racconta in concerto che a volte gli capita di ricevere visite dal fantasma di Pino e di parlarci. Per caso capita anche a lei? 

«Di parlarci? Sì. Pino è sempre presente. A volte prima di mettermi a dormire gli racconto come vanno le cose. L’altra sera gli ho detto: “Quanto ti arrabbieresti, se fossi ancora qui: hai visto dove è andata a finire la musica?”. Pino era un genio: aveva il groove dentro». 

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