Stadio della Roma, Raggi teste in aula: «Impossibile votare “no”. Ho dovuto cambiare rotta»

Nel processo a carico di Parnasi, De Vito e altri è stata sentita l’ex prima cittadina​

Stadio della Roma, Raggi teste in aula: «Impossibile votare “no”. Non abbiamo rispettato le promesse elettorali per timore degli indennizzi»
di Michela Allegri
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Lunedì 15 Maggio 2023, 23:57

Le promesse fatte in campagna elettorale, una volta arrivata sul gradino più alto del Campidoglio, si sono rivelate impossibili da mantenere: «Avevo basato la campagna elettorale sul no allo Stadio della Roma, sulla cancellazione della delibera con cui il sindaco Ignazio Marino aveva dato il via libera al progetto», ma al momento dei fatti «la maggioranza non era compatta, si è sgretolata, un parere dell’avvocatura aveva sollevato il rischio di danno erariale con possibili risarcimenti da pagare alle società coinvolte e che avevano già investito». Con queste parole l’ex prima cittadina di Roma, Virginia Raggi, ha spiegato ai giudici e ai magistrati la “capriola” del Movimento 5Stelle capitolino sulla realizzazione del Nuovo stadio della Roma, a Tor di Valle, che ha portato all’approvazione della delibera finita sotto la lente della Procura.

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GLI IMPUTATI

La Raggi è stata sentita nell’aula bunker di Rebibbia nel corso del processo sul giro di corruzione legato alla realizzazione dell’impianto sportivo, nel quale politici e funzionari del Campidoglio sono accusati per avere agevolato il costruttore Luca Parnasi, che deve rispondere di associazione a delinquere.

Sul banco degli imputati ci sono, tra gli altri, l’ex presidente dell’Assemblea capitolina, Marcello De Vito, l’ex vicepresidente del Consiglio della Regione Lazio, Adriano Palozzi, l’ex assessore regionale Michele Civita e Luca Lanzalone, l’avvocato genovese che, secondo gli inquirenti, avrebbe seguito per conto della Raggi diversi dossier delicati, incluso quello sullo stadio. La stessa Raggi è indagata per falsa testimonianza in relazione alle dichiarazioni che ha rilasciato in una precedente deposizione - nel maggio del 2021 - e ieri è stata ascoltata assistita dall’avvocato Pierfrancesco Bruno.

«Eravamo tutti contrari a quel progetto monstre da milioni di cubature - ha proseguito la Raggi - poi l’avvocatura capitolina ci ammonì sui rischi di risarcimenti ed indennizzi e la maggioranza di spaccò: puntammo, quindi, a diminuire l’impatto ambientale con un taglio delle cubature». L’ex sindaca ha ricordato i rapporti non idilliaci con l’allora assessore Paolo Berdini dimessosi dopo avere fatto alcune dichiarazioni infelici e che ha detto di essere entrato in rotta di collisione con il Movimento per la sua contrarietà al progetto. «Con la maggioranza abbiamo chiesto a Berdini quali fossero le difficoltà. Lui ci rassicurava, ma non faceva seguire atti concreti», ha aggiunto la Raggi. E ancora: «A parole era contrario al progetto, ma nei fatti penso che avesse cambiato idea». Quindi «decidemmo di chiedere un parere all’Avvocatura. Ci dissero che c’erano delle possibilità di superare la delibera di pubblica utilità approvata dal sindaco Marino, ma ammonivano sugli aspetti risarcitori che si sarebbero potuti palesare». Un fattore che ha spaccato in due la maggioranza, «che iniziò ad avere paura della possibilità di una ricaduta personale per quelle conseguenze economiche. A quel punto abbiamo scelto di migliorare il progetto, tagliando le cubature e riducendo l’impatto ambientale». Beppe Grillo - ha proseguito la Raggi - «mi chiamava per capire come mai non riuscissimo a fermare il progetto e gli spiegai che c’erano stati problemi e che all’interno della maggioranza c’erano due fronti». In sostanza, il Movimento nazionale, quando gli era stata spiegata la situazione, si era dovuto accontentare dell’opzione che sembrava più accettabile.

CAMBIO DI ROTTA

Un cambio di rotta nel quale, almeno secondo la ricostruzione della Procura, un ruolo determinante sarebbe stato svolto da chi voleva agevolare Parnasi. «Pagavo tutti», aveva raccontato il costruttore ai magistrati dopo l’arresto avvenuto nel giugno 2019. Secondo gli inquirenti, le tangenti sarebbero state elargite sotto forma di incarichi di consulenza al socio di De Vito, l’avvocato Camillo Mezzacapo, a Lanzalone, tra gli altri. «È lui che ha risolto lo Stadio!» aveva detto l’imprenditore intercettato parlando dell’avvocato genovese. Era il giugno 2017, l’assemblea capitolina aveva approvato la delibera. «Habemus stadium!», aveva scritto Lanzalone. «Sei stato un fenomeno», la risposta.

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