Il saluto a De Mauro, tra giovani e speranze

di Mario Ajello
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Domenica 8 Gennaio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 00:54
«Addio a Tullio De Mauro, professore di tutti». 
@ArturNura1

Infatti c’erano proprio tutti, ieri, alla cerimonia di saluto a Tullio De Mauro, nell’aula grande della facoltà di Lettere, alla Sapienza. Duemila persone? Tremila? Tantissismi, e di tutte le età: molti i giovani. Il motivo della larga partecipazione non sta soltanto nel fatto che Tullio era una persona erudita ma semplice, sapiente ma generosa, eccellente e pop. E in più simpaticissima. La folla era popolosa perché nel saluto a questo grande linguista, il più famoso d’Italia, si stava salutando uno degli ultimi esemplari di intellettuale civico. Che è l’opposto dell’accademico in posa, del professorone solitamente di sinistra - alcuni dei presenti alla cerimonia appartenevano a questa categoria - che nel rifiuto della contemporaneità e nel disprezzo per le scelte e per le emozioni delle masse stanno chiusi nella loro torre d’avorio e nel loro elitismo progressista ma in realtà reazionario.

De Mauro era tutt’altro. Si appassionava ai problemi di Roma, ha fatto politica a Roma sempre schierato dalla stessa parte ma mai in maniera ideologica, soffriva per l’attuale situazione di degrado della sua città d’adozione e senza lanciare accuse propagandistiche diceva: «Dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo fare di più, l’indifferenza alle sorti di Roma è il peggiore atteggiamento possibile». Oppure: «La cultura della cura, nei romani, finisce sull’uscio di casa. Subito fuori, comincia l’incultura della rassegnazione al degrado». Diceva queste, come tutte le sue altre parole, sempre con un tono lieve. E con Tullio, si è parsa quella strana alchimia, che apparteneva quasi soltanto a lui, tra conoscenza, levità e impegno.

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