Giubileo, fu il popolo a volere il grande perdono

Giubileo, fu il popolo a volere il grande perdono
di Lucetta Scaraffia
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Mercoledì 9 Dicembre 2015, 10:29

I papi che hanno dato un contributo decisivo alla creazione del giubileo quale lo conosciamo oggi sono stati Bonifacio VIII, che l’ha istituito nel 1300, e Alessandro VI, cioè Rodrigo Borgia, che nel 1500 ha inventato il rito della porta santa. Entrambi papi molto criticati, hanno goduto una cattiva stampa da parte di personaggi di primo piano del loro tempo: Dante per Bonifacio, Savonarola per Alessandro.


Forse non erano poi tanto peggio dei loro contemporanei, ma hanno avuto la sfortuna di incontrare avversari temibili. Dal punto di vista del rafforzamento della figura del pontefice, e del ruolo di Roma, il loro comportamento è comunque degno di lode, e il giubileo ha svolto un ruolo determinante in questo progetto.

Per entrambi, l’idea nasce dall’ascolto delle voci popolari che hanno ispirato una celebrazione, quella giubilare, e un rito, quello della porta santa, determinanti nel rafforzare il ruolo simbolico di Roma come centro di pellegrinaggio, come città santa del mondo cristiano. Un mondo che dalla fine del Duecento aveva perso definitivamente la possibilità di realizzare pellegrinaggi nella culla della propria religione, nel luogo dove Dio si era fatto uomo, la Palestina.

Intorno al Natale del Trecento un numero eccezionale di pellegrini arrivò a Roma: si era sparsa la voce che, in occasione del volger del secolo, il papa avrebbe offerto una indulgenza straordinaria. In realtà, Bonifacio non ci aveva assolutamente pensato, ma decise di cogliere l’occasione.

Nonostante mancassero documenti scritti per ratificare questa tradizione – il giubileo era un’usanza ebraica, e si riferiva al condono dei debiti – il papa, fine giurista, si riallacciò ad una immemorabile tradizione orale e a febbraio confermò l’indulgenza plenaria per chi si fosse recato a Roma e avesse visitato tutte le basiliche, confessandosi e comunicandosi, con valenza retroattiva al Natale appena passato. L’iniziativa si rivelò un vero successo: in una cultura in cui il problema della salvezza dopo la morte era continua fonte di angoscia, la prospettiva dell’indulgenza esaltava gli animi tanto da far affrontare un lungo e pericoloso viaggio.

A Roma si andava per guadagnare la vita eterna, ma anche per vedere il volto di Cristo: a san Pietro era infatti conservato il telo della Veronica, che secondo la leggenda sarebbe servito a detergergli il volto durante la salita al Calvario, e sul quale erano rimasti impressi i suoi lineamenti. Una piccola riproduzione del telo, infatti, divenne il simbolo del pellegrinaggio giubilare. L’attesa di vedere il volto di Dio incarnato era forte, come scrive Dante nel paradiso, dando voce alle speranze dei pellegrini: «Segnor mio Gesù Cristo, Dio verace, or fu si fatta la sembianza vostra?».

La devozione all’immagine della Veronica, che veniva anche esposta e portata in processione, conobbe una brusca crisi dopo il sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi, nel 1525, quando ogni reliquia fu profanata e distrutta. In seguito, si disse che era stata ritrovata, ma non fu mai più esposta ai fedeli. Del resto, che Veronica fosse un personaggio leggendario lo dice già il suo nome, e fu espunta dall’elenco dei santi già nel Cinquecento.

Il giubileo del ‘300, come tutti i successivi, fu per i romani fonte di guadagno – tutti si erano fatti osti, e a caro prezzo offrivano da dormire e da mangiare alle folle che invadevano la città – e ancora di più per la Chiesa che, proprio grazie a questi introiti eccezionali, poté restaurare le basiliche e in seguito, dopo la crisi avignonese, la città e successivamente abbellirla, sia per prepararla ai giubilei che poi, con i soldi raccolti, darle il volto definitivo che oggi ammiriamo. Infatti i monumenti più caratteristici della città, quelli che la rendono meta di turismo da tutto il mondo, sono stati fatti per i giubilei o con i soldi delle indulgenze: la cappella Sistina, san Pietro, e perfino la scalinata di Trinità dei Monti e la fontana di Trevi.

In occasione del giubileo del 1500 Alessandro VI, ascoltando le voci popolari che parlavano dell’esistenza di una porta in san Pietro che portava direttamente in paradiso, inaugurò il rito della porta santa, che contribuì a dare fasto e importanza alla celebrazione, segnando il suo inizio e la sua fine.

Le critiche dei riformati, che si rivolsero soprattutto contro la pratica delle indulgenze e le ruberie dei romani, spinsero la Chiesa a organizzare un’accoglienza gratuita, dignitosa per i pellegrini garantita da apposite confraternite, nelle quali lavoravano come volontari i personaggi più eminenti della città. Qui i pellegrini trovavano acqua per lavarsi, un letto pulito e un pasto sostanzioso, e anche assistenza religiosa. A fine Cinquecento cominciarono anche a cambiare le modalità di pellegrinaggio: non più pellegrini isolati, o a piccoli gruppi, ma grandi gruppi organizzati dalle confraternite, che sfilavano ordinatamente cantando inni sacri.

Le pellegrine, che nei primi secoli erano veramente poche per i pericoli e i disagi del viaggio, cominciarono così ad aumentare, ma il loro numero divenne pari – se non superiore – a quello degli uomini solo nei giubilei del Novecento, quando treni, pullman e aerei resero il viaggio a Roma di breve durata. Nell’800 i turbamenti politici sconsigliarono la celebrazione giubilare, che riprese nel ’900, ma sempre meno polarizzata intorno alle reliquie e alle indulgenze: soprattutto a partire dal giubileo di Paolo VI, nel 1975, i pellegrini arrivano per vivere una trasformazione interiore, una conversione.

Il primo giubileo millenario, quello di Giovanni Paolo II, festeggiato con un concorso di fedeli mai visto – si parla di due milioni solo alla giornata della gioventù – è stato caratterizzato da una grande novità: il papa stesso ha chiesto perdono per gli errori commessi dalla chiesa nei 2000 anni della sua esistenza.

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