Città di Castello, minaccia di bruciare il figlio e sputa alla compagna: 4 anni di carcere

Il tribunale penale di Perugia
di Enzo Beretta
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Sabato 3 Febbraio 2024, 08:49

Una condanna a quattro anni di reclusione è stata inflitta dal tribunale di Perugia a un 45enne marocchino finito sotto processo anche per aver minacciato di dare fuoco al proprio figlio appena nato. Un giorno nell’ottobre 2022 durante una discussione con la compagna convivente che «era fuggita in strada a richiedere aiuto» l'ha «costretta a rientrare nella loro abitazione e le ha rivolto pesanti minacce di morte, nello specifico di dare fuoco al bambino appena nato che la donna teneva in braccio, con ciò gettandola in uno stato di profonda prostrazione fisica e psicologica».

La sentenza è stata emessa ieri mattina dal collegio presieduto da Carla Giangamboni (a latere Lidia Brutti e Loretta Internò) al termine dell'ustruttoria dibattimentale: il pubblico ministero Gianpaolo Mocetti aveva sollecitato una pena di tre anni e dieci mesi di reclusione. L’uomo, difeso dall’avvocato Gloria Volpi, viene ritenuto responsabile dei reati di maltrattamenti in famiglia, lesioni aggravate e violenza privata. Nelle carte della Procura si raccontano «reiterate manifestazioni di violenza fisica e psicologica» avvenuti a Città di Castello nei confronti della compagna «mediante percosse, strattonamenti e minacce anche di morte». Le gridava che le avrebbe «fatto togliere il figlio». Insieme alle ingiurie si raccontano altri gesti di disprezzo: una volta le avrebbe anche «sputato al volto».

Atteggiamenti secondo la Procura «intollerabili per la prosecuzione della convivenza familiare». «Nel corso dell'ennesimo diverbio era fuggita in strada a richiedere aiuto è stata raggiunta, percossa con pugni e schiaffi, e presa per il collo. Le ha pure strappato una consistente ciocca di capelli, procurandole lesioni, lividi, cervicalgia e stato di agitazione».

Lo straniero è anche accusato di resistenza a pubblico ufficiale per aver aggredito due carabinieri intervenuti per proteggere la persona offesa. «Vi sgozzo, vi ammazzo» urlava ai militari. «E mentre gli operanti facevano scudo alla donna per neutralizzare le ulteriori condotte intimidatorie frapponendosi fra i due - si legge - uno è stato colpito al torace e l'altro è stato preso per un braccio e fatto rovinare a  terra». La magistratura tempo fa aveva imposto all'imputato il divieto di avvicinamento all'abitazione della compagna, «oltre alle aree di parcheggio limitrofe, con ordine di non accedervi senza la preventiva autorizzazione del giudice». Non poteva neppure avvicinarsi «ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa e in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti».

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