I colleghi in ospedale provocano danni permanenti a un paziente, ma a pagare è un dentista privato

Il palazzo della Corte di appello di Perugia
di Egle Priolo
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 3 Aprile 2024, 09:22

PERUGIA - Il danno permanente lo hanno causato i dentisti della mutua, ma il risarcimento è dovuto anche dal primo specialista che ha sbagliato terapia. Provocando il problema per cui il paziente si è poi dovuto rivolgere ai chirurghi della sanità pubblica. Una storia complessa, risolta dalla Corte di appello di Perugia con la condanna al pagamento di quasi 15mila euro per il dentista chiamato a rispondere anche dei danni materialmente causati da altri colleghi.

La storia inizia sulla poltrona di un dentista di Terni, per la rimozione di un impianto. Qualcosa va storto e nel cavo orale del paziente, un pensionato, si apre una fistola. L'anziano è allora costretto a farsi curare dai chirurghi della locale azienda ospedaliera, ma nel corso dell'intervento gli vengono lesionati dei nervi in modo permanente, con un danno biologico pari al 6 per cento. Danno di cui ha chiesto conto al medico, con il tribunale civile che gli ha dato ragione anche in primo grado, seppur con un risarcimento di oltre 21mila euro. Allo “sconto” di seimila euro è pervenuta la Corte presieduta da Claudia Matteini, dopo aver analizzato documenti, memorie e soprattutto la relazione del consulente tecnico d'ufficio che ha spiegato come si sia arrivati a quelle «lesioni micropermanenti».
In particolare, l'esperto ha sottolineato come l'intervento scelto dal primo dentista «per la rimozione dell’impianto dentale migrato nel seno mascellare, seppur venga individuato dalla letteratura scientifica come l’intervento d’elezione per questo tipo di complicanza, non era invece l’approccio chirurgico corretto per il caso di specie, data la presenza di una sinusite mascellare bilaterale». E anche i successivi tentativi di chiusura della fistola «venutasi a creare dopo la rimozione dell’impianto migrato» hanno reiterato «l’approccio errato», con una tecnica definita «inappropriata». Tanto che alla fine i sanitari dell'azienda ospedaliera di Terni «sono stati costretti ad intervenire evidentemente in modo piuttosto invasivo». Il consulente arriva a concludere così: «Anche se le lesioni del nervo infraorbitario e del nervo facciale sono "fisicamente" conseguenza» dell'intervento operato in ospedale «è evidente che gli errori di programmazione, esecuzione e gestione della rimozione dell'impianto» sono state «determinanti nell'ingenerare le lesioni attuali e sollevano, a parere del Ctu, i sanitari della Aosm da profili di responsabilità professionale». «È dunque altamente probabile - ai limiti della certezza - che le lesioni permanenti a carico del nervo infraorbitario e del nervo facciale di sinistra - scrive Matteini - non sono state provocate dalla mera imperizia esecutiva da parte dei chirurghi dell’azienda ospedaliera, ma piuttosto dalla situazione, da un punto di vista clinico, in cui questi ultimi si sono trovati ad operare». Cioè «una situazione notevolmente compromessa per via dei ripetuti interventi errati da parte del dentista; in altri termini, non era ormai possibile per i sanitari chiudere la fistola oro antrale senza pregiudicare i nervi».
E così il dentista, seppur non materialmente causa della lesione finale, si trova a pagare in base alle norme sul nesso causale e alla regola del “più probabile che non”.

Con il danno biologico subito dal paziente che, per la Corte di appello, «si pone come diretta conseguenza dell’imperizia e dell’imprudenza» dimostrate dal medico «nella scelta dei trattamenti sanitari da attuare nel caso concreto in quanto le citate lesioni ai nervi, con elevata probabilità, non si sarebbero verificate se a monte non ci fossero state quelle ripetute condotte colpose da parte del dentista». Anche se era lontano chilometri da quella sala operatoria di Maxillo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA