Pacche e mani addosso alla commessa, titolare condannato a Perugia

Pacche e mani addosso alla commessa, titolare condannato a Perugia
di Egle Priolo
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Mercoledì 24 Aprile 2024, 09:12

PERUGIA - Mesi di insulti e di mani addosso, con la vita al lavoro che per una giovane dipendente diventa un incubo. E per cui ieri è stato condannato a 2 anni e 6 mesi il suo ex titolare, accusato di violenza sessuale continuata. Violenze che l'uomo, in questi termini, ha sempre contestato, spiegando come invece la denuncia e addirittura le testimonianze siano nate come vendetta per i rapporti difficili con la commessa e i suoi colleghi.

Di certo, il procuratore aggiunto Giuseppe Petrazzini aveva chiesto una pena ancora più pesante, 5 anni e 6 mesi, ma il collegio presieduto da Carla Maria Giangamboni, con Serena Ciliberto ed Edoardo Esposito, ha in qualche modo accolto la tesi difensiva imponendo una condanna decisamente più lieve rispetto alle gravi accuse. Secondo il capo di imputazione, infatti, l'uomo, un 64enne originario di Roma ma residente a Perugia e titolare di un'attività commerciale di oggettistica a Corciano, avrebbe «con condotte reiterate esecutive di un medesimo disegno criminoso, con violenza, costretto la propria dipendente a subire ripetute violenze sessuali». Si parla di pesanti palpeggiamenti sulle parti intime, di forti strette «in modo da bloccarle le mani» per toccarla, anche con altre parti del colpo. Tutto questo, «commettendo il fatto con abuso di prestazioni d'opera», essendo lei la dipendente del negozio e lui il titolare e amministratore. Comportamenti aggravati da insulti «a causa dei rifiuti della ragazza» con inviti grevi a compiere atti sessuali.
I fatti sono relativi ai mesi tra settembre 2015 e febbraio 2016 e in realtà il 64enne, pur alleggerendoli ed edulcorandoli moltissimo rispetto alla tesi accusatoria, non li ha del tutto smentiti, quanto fatti rientrare nell'alveo, comunque deprecabile, dello scherzo. «Emerge un quadro patologico dell'imputato – ha spiegato il suo legale, l'avvocato Marco Piazzai - evidentemente incapace all'epoca dei fatti di comprendere appieno il pacifico disvalore delle proprie condotte: tale assenza di piena consapevolezza si denota dal fatto che, come visto dalle testimonianze, questi episodi avvenivano pubblicamente, davanti a tutti, senza remora alcuna». Piazzai ha sottolineato nella sua difesa la convinzione che per il titolare quelli fossero «comportamenti goliardici, considerati “normali”», di cui non coglieva «l'illiceità e il disvalore sociale», tanto da commetterli alla luce del sole, non «in modo furtivo e clandestino».
Ma dopo la denuncia qualcosa è cambiato, pur nella convinzione che la vittima (assistita dall'avvocato Emanuela Francisci) e i due testimoni chiamati a supportare la sua versione, in qualità di ex dipendenti, non fossero attendibili per «motivi di aperto conflitto con l'imputato per ragioni economiche, e quindi portatori di interessi contrapposti».
Il 64enne ha dimostrato durante il processo che ora «sa di aver sbagliato, perché negli ultimi tempi ha acquisito una consapevolezza che in precedenza non aveva – ha sottolineato Piazzai -.

Aver dovuto scontare una pena - a fronte della quale il Tribunale di Sorveglianza gli ha voluto dimostrare fiducia affidandolo in prova al servizio sociale (fiducia poi ripagata) - ha determinato l'insorgenza nell'imputato di un processo di autoanalisi e di introspezione molto importante, all'esito del quale ha saputo rigenerarsi a livello sociale e di relazioni interpersonali». No quindi all'assoluzione richiesta dalla difesa, ma condanna inferiore, con l'acquisto di consapevolezza che scherzare in modo volgare e sessista, oltre a essere deplorevole, è anche un reato.

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