Omicidio del piccolo Matias, definitiva la condanna all'ergastolo per il padre. I giudici: «Una ripugnante esecuzione per una vendetta trasversale»

Tomkow in aula a Viterbo
di Maria Letizia Riganelli
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Sabato 20 Gennaio 2024, 05:20 - Ultimo aggiornamento: 19:44

«Una ripugnante esecuzione per una vendetta trasversale». Con le parole dei giudici della Corte d’Appello si chiude definitivamente l’iter giudiziario per l’omicidio del piccolo Matias. E’ ormai definitiva la condanna all’ergastolo per il padre. Mirko Tomkow, 46enne manovale albanese, il 16 novembre del 2021 uccise il figlio di appena 11 anni che era appena tornato da scuola. Lo aspettava nascosto in casa; dalla quale era stato allontanato per i maltrattamenti contro la moglie. Un omicidio brutale e premeditato.

Tomkow quel 16 novembre entrò nel piccolo appartamento dell’ex in stradone Luzi a Vetralla e dopo aver bevuto un’intera bottiglia di vodka scadente compratala supermercato si procurò nastro adesivo e benzina. E quando il piccolo, di ritorno da scuola, varcò la porta di casa lo colpì e per farlo smettere di urlare gli chiuse bocca e occhi con il nastro da pacchi. Non soddisfatto del lavoro lo pugnalò quattro volte con un coltello da cucina provocandogli ferite mortali. Matias è morto per soffocamento e per le coltellate arrivate al cuore. A lavoro finito prese il corpo del piccolo e lo nascose nel cassettone del letto, cospargendo tutto l’appartamento di benzina. E stordito da alcol e fumi del carburante svenne nella soffitta, dove si era rifugiato con un accendino in mano.

Durante i due gradi di giudizio la difesa dell’assassino, più volte, aveva provato a sostenere un’altra ricostruzione a chiedere almeno le attenuanti generiche, che gli avrebbero evitato il carcere a vita. «Sull’aggressione omicidiaria, ammessa anche dall’imputato, la difesa - spiegano i giudici della Corte d’Assise d’Appello - ha proposto una ricostruzione non priva di suggestione.

Va poi ricordato che la sola incensuratezza non può essere posta a fondamento della richiesta di attenuanti. Ad aggravare la situazione la tardiva e laconica manifestazione di pentimento e dispiacere dell’imputato al termine di due gradi di giudizio in cui il suo comportamento non è stato particolarmente meritorio, per questo non appare argomento sufficiente per l’elargizione le attenuanti».

Tomkow poco prima del verdetto definitivo aveva provato a chiedere perdono: «Sono dispiaciuto e non volevo che accadesse tutto questo». Parole che per i giudici non sono state sufficienti. Il manovale albanese resterà in carcere a vita. Quella della Corte d’Assise d’Appello di Roma è il verdetto definitivo, non è stato presentato nessun ricorso in Cassazione e la sentenza è divenuta irrevocabile a novembre scorso. Tomkow non ha ottenuto nessuno sconto di pena, da quanto aveva stabilito il Tribunale di Viterbo che nelle sue motivazioni aveva fin da subito delineato un confine difficile da superare. «La condotta tenuta - avevano spiegato i giudici della Corte d’Assise di Viterbo - desta certamente ripugnanza e appare spregevole e vile, l’imputato ha inveito contro il proprio figlio, un bambino di 11 anni solo in casa, infierendo in maniera reiterata e provocandogli una morte non immediata e densa di sofferenze fisica e morale».

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