Dehors, Strinati: «Bisogna ispirarsi a Fellini, il decoro torni una priorità»

Parla lo storico dell’arte

PER BOGLIOLO Dehors e tavolini sui marciapiedi di Parati, in zona Ottaviano Claudia Rolando / AG Toiati
di Giampiero Valenza
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Sabato 18 Maggio 2024, 05:55

Sui dehors è necessario superare la legislazione d’emergenza causata dalla pandemia. E regolarli per tornare a parlare «dell’antico criterio del decoro» che «non ha più il senso di un tempo». Lo storico dell’arte Claudio Strinati, per una vita alla guida del Polo museale romano, ne è convinto.

Professore, cosa sta succedendo?

«La normativa Covid ha una caratteristica di una legge d’emergenza che prescrive cose che in circostanze normali non sarebbero mai state prescritte. È una norma che ha provocato disastri. Ora serve una legge che superi la disposizione e che la riformuli radicalmente».

Oggi in città manca il decoro?

«Un tempo esisteva un dibattito culturale che aveva il criterio del decoro come una sua bussola orientatrice ed era un elemento della vita sociale e culturale. Oggi c’è un’espansione vertiginosa dei dehors. C’è chi sostiene la tesi che siano una garanzia di pace sociale. Si tratta di una convinzione errata: la loro presenza ovunque può provocare uno sconquasso nel territorio, con situazioni che si possono aggravare a dismisura. Senza contare, poi, che molti dehors hanno invaso una notevole quantità di regolari parcheggi. Il diritto a parcheggiare non è trascurabile in una città moderna e non considerarlo, a mio avviso, è un atto deplorevole. Tutto questo continua ad accadere e nessuno dice niente».

Cosa serve a Roma?

«Noi abitanti dovremmo essere più comprensivi rispetto all’inevitabile vita attuale e non possiamo dire di interrompere il turismo e i dehors. Allo stesso tempo però dovremmo sollecitare uno sforzo delle autorità, del Parlamento, dei vigili urbani, del Comune, della soprintendenza, per una maggiore tutela e condivisione. Serve un’azione più condivisa e severa nel rapporto tra le soprintendenze e la polizia locale predisposta al controllo. È uno sforzo che potrebbe essere fatto e che oggi non è al suo livello ottimale».

Roma è una città che gode del suo essere nel cuore del Mediterraneo. Il clima, certo, spinge i turisti a vivere fuori. C’è un modello che si può seguire per sviluppare un dehors in salsa romana?

«La Dolce Vita di Federico Fellini ha nel dehors un suo elemento costitutivo, come insieme di popolarità e aristocrazia, con il clima di condivisione e di gioia di vivere. Attenzione, però, con aristocrazia intendo l’aristocrazia d’animo, d’amore e di bellezza del decoro. In un certo senso oggi basterebbe fare una norma seguendo Fellini e come lui ha descritto i dehors, ovviamente aggiornandoli alle leggi attuali. Bisogna rifuggire dalla legislazione d’emergenza. Non deploro il dehors, ma la legge straordinaria».

È una missione impossibile trovare una soluzione?

«Possiamo fare meglio e non peggio del passato. Non siamo più ignoranti di chi ci ha preceduto. Dobbiamo tutti fare un dono al turismo, renderlo più aristocratico d’animo, in grado di provare lo stesso tipo di compiacimento e soddisfazione dalla città. Lo stesso che dovrebbero provare i romani quando, per esempio, vanno al lavoro».

Ci sono zone che soffrono di più per questa regolamentazione d’emergenza?

«Ci sono intralci notevoli che riguardano sia la città moderna sia quella più antica. Di sicuro ne soffrono di più le zone intorno al Pantheon e al Colosseo. Quella di piazza del Popolo è un po’ più preservata: in quella zona va tenuta presente una storicità dei dehors, inseriti in una logica storica bellissima, creati da architetti di scuola francese. I caffè che si affacciano sulla piazza sono fatti sullo stile dei grandi bistrot parigini».

Ci sono altri luoghi che storicamente sono un po’ l’anima della città vissuta all’esterno degli edifici?

«Sì, sono tantissimi, a cominciare di alcuni spazi di Trastevere come piazza San Cosimato. La loro funzione sociale è bellissima e nobilissima. Mi vengono in mente poi alcuni architetti del Cinquecento che hanno dato alla città palazzi dell’aristocrazia con le panchine esterne, dove il popolo poteva sedere, conversare e mangiare. Un esempio è palazzo Farnese realizzato da Antonio da Sangallo che le conserva ancora che però non sono oggi utilizzabili per proteggere l’ambasciata».

giampiero.valenza@ilmessaggero.it

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