«Così abbiamo salvato una ragazza maltrattata e segregata, ma lei non ha voluto denunciare»

La presidente dell'associazione "Guscio", Andreina Moretti: "Noi chiediamo sempre alle vittime di portare in tribunale i loro aguzzini ma molte hanno paura ad affrontare un processo"

«Così abbiamo salvato una ragazza maltrattata e segregata, ma lei non ha voluto denunciare»
di Tito Di Persio
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Giovedì 28 Dicembre 2023, 15:00 - Ultimo aggiornamento: 15:02

La scrittrice di Roseto e presidente dell'associazione “Il Guscio” Andreina Moretti e insieme alla volontaria Hebe Munoz, hanno salvato una ragazza dal suo aguzzino - un amico di famiglia - dopo tre mesi di segregazione e maltrattamenti. A rendere noto quanto è successo è Hebe Munoz, italo-venezuelana entrata nell’associazione perché a sua volta vittima di violenza. La donna racconta: «Vi sono persone che in situazioni estreme riescono a compiere azioni disperatamente straordinarie, da apparire assolutamente impossibili. Eppure, è proprio una di queste storie incredibili quella accaduta a me e ad Andreina Moretti: salvare la vita di una ragazza sconosciuta, che non parlava una sola parola di italiano e che viveva lontano da entrambe».

Munoz racconta che sua figlia, che vive in Brasile, viene contattata da un amico argentino che chiede aiuto per una ragazza in pericolo, C.G., 30 anni, anche lei argentina. Questa ragazza si trova in Italia, non parla la lingua e sta subendo, dice il racconto, «violenze e maltrattamenti». La figlia la supplica di contattare urgentemente l’associazione che l'aveva aiutata in passato per salvare questa giovane. «Appena mi arriva il suo numero, - aggiunge Munoz - mancavano pochi minuti alle 9 del mattino, la contatto via WhatsApp. Mi risponde una voce spaventata: un uomo l’aveva sequestrata, le aveva sottratto documenti, denaro e telefono». La 30enne spiega che tre mesi prima, un amico di famiglia di 45 anni, che si era offerto di ospitarla in Italia e di aiutarla a trovare lavoro, l'aveva portata in un casolare nell’alto Piemonte. Dallo scambio di messaggi sembrava un luogo incantevole, ma si è rivelato essere in una zona isolata e l’accoglienza si è presto trasformata in un incubo. Dopo poche ore, l’uomo aveva iniziato a molestarla, le aveva tolto documenti e telefono e la teneva rinchiusa. Questo incubo, racconta la 30enne, sarebbe continuato per tre mesi. «C.G. mi invia le sue foto che mostrano i segni evidenti di percosse e maltrattamenti, - riferisce Munoz - mi consulto con Andreina Moretti che mi dà saggi consigli. Iniziamo immediatamente a pianificare un piano di fuga». Munoz e suo marito, dopo aver analizzato la zona tramite Google Maps e verificato la distanza dal casolare alle forze dell’ordine, chiamano un taxi. «Preparato il piano di fuga, telefono alla ragazza, completamente sotto choc - sottolinea Munoz - la rassicuro e la invito a prepararsi. Il tassista, consapevole della situazione, rimane in contatto con noi, mentre prenotiamo una camera d’albergo a Torino». Alle 14, la giovane è al sicuro in albergo e il giorno successivo, il 23 dicembre, la 30enne viene accompagnata in treno dai suoi parenti in Spagna. «Ricordiamoci tutti che una telefonata può salvare una vita e che nessuno si salva da solo; dobbiamo formare una rete solidale di aiuto - lancia il messaggio la presidente Moretti -  Noi chiediamo sempre alle vittime di denunciare e portare in tribunale i loro aguzzini, ma molte hanno paura del processo. In questo caso la ragazza argentina, al momento, ha preferito non denunciare quando le è accaduto, è terrorizzata dal dopo, dal processo che preferisce non affrontare». 

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