Houti-Stati Uniti, l'allarme delle banche: «La crisi del Mar Rosso infiammerà l’inflazione». Impennata del petrolio

Schroeders e JpMorgan prevedono anche la frenata del Pil globale al 2,5%

Houti-Stati Uniti, l'allarme delle banche: «La crisi del Mar Rosso infiammerà l’inflazione». Impennata del petrolio
di Rosario Dimito
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Sabato 13 Gennaio 2024, 00:29 - Ultimo aggiornamento: 08:15

La guerra nel Canale di Suez rischia di fermare la discesa dell’inflazione. E’ l’allarme lanciato da due blasonate banche d’affari internazionali: Schroeders e JpMorgan che descrivono la situazione e stimano un rallentamento della crescita del Pil, che si attesterebbe solo al 2,5%. Il petrolio è cresciuto del 4% con il barile a quota 80 dollari, mentre i noli per i container sono di fatto raddoppiati. 
«Le immagini satellitari mostrano che praticamente nessuna nave destinata ai principali porti europei o agli Stati Uniti attualmente attraversa il Mar Rosso, deviando invece verso l’Africa meridionale. Sembra che le catene di approvvigionamento globali si trovino ad affrontare una tempesta perfetta di rischi», si legge nel report di David Rees, economista senior dei mercati emergenti di Schroders. Del resto il traffico merci sarebbe calato quasi del 70% in questi ultimi giorni.

SPOSTAMENTO DELLA DOMANDA

«Le condizioni della domanda ora sono molto più morbide.

Mentre i grandi stimoli monetari e fiscali hanno rilanciato l’economia globale dopo lo sconvolgimento iniziale causato dalla pandemia, la crescita sta ora rallentando. Prevediamo una crescita del pil globale di appena il 2,5% sia quest’anno che il prossimo. L’Eurozona è probabilmente già in recessione, il Regno Unito è debole e l’attività negli Stati Uniti si sta raffreddando», spiega Rees. «In secondo luogo, mentre i lockdown hanno fatto sì che la domanda si concentrasse nel settore dei beni durante la pandemia, i modelli di consumo sono ora molto più equilibrati. In effetti - continua l’economista - negli ultimi due anni la riapertura delle economie ha causato uno spostamento della domanda verso i servizi, lasciando il settore manifatturiero globale in recessione».

«In terzo luogo, anche il lato dell’offerta dell’economia globale è in condizioni migliori. Mentre i lockdown progressivi hanno bloccato completamente la produzione durante la pandemia, ora non si verificano tali interruzioni. Le deviazioni intorno all’Africa meridionale allungheranno i tempi di consegna, ma le merci arriveranno comunque a destinazione, suggerendo che è improbabile una vera e propria carenza», continua Rees. «Semmai, i recenti dati commerciali provenienti dalla Cina che mostrano che le esportazioni crescono molto più rapidamente in termini di volume che in termini di valore, suggeriscono che le aziende, almeno in alcuni settori, sono costrette a scontare i prezzi per eliminare la capacita in eccesso».

«Un rischio più immediato per l’inflazione globale si avrebbe se le tensioni in Medio Oriente cominciassero a incidere sull’offerta di materie prime, in particolare facendo salire i prezzi dell’energia. Questo è un aspetto che abbiamo iniziato a monitorare nel nostro ultimo ciclo di previsioni con le nostre crisi geopolitiche che presuppongono, oltre agli attriti commerciali, un ampliamento della tensione nella regione che fa si che i prezzi del petrolio salgano verso i 120 dollari al barile», continua l’economista. «La nostra simulazione ha spinto l’economia globale in una direzione stagflazionistica, poiché i maggiori costi energetici fanno salire l’inflazione, con il rischio di effetti secondari (dati i mercati del lavoro tesi) che pesano sulla crescita e costringono le banche centrali ad abbandonare i tagli dei tassi e forse addirittura ad aumentarli ulteriormente», conclude Rees.

 

LE STIME

Ma la crisi nel Mar Rosso potrebbe far risalire i prezzi internazionali. In una comunicazione ai clienti Jp Morgan spiega che la lotta contro l’inflazione potrebbe arrestarsi nei prossimi mesi se i costi di spedizione spingessero più in alto il prezzo delle merci. «I nuovi aumenti dei costi di spedizione globali potrebbero effettivamente aumentare l’inflazione dei prezzi al consumo nei prossimi mesi, se questi aumenti alla fine si trasformeranno in prezzi più alti dei beni finali», hanno scritto gli analisti economici della banca d’investimento americana. «Un simile risultato rafforzerebbe la nostra aspettativa che i progressi nella riduzione dell’inflazione core globale si blocchino quest’anno», hanno aggiunto gli economisti di Jp Morgan.

Ma in una visione di più ampio respiro che tocca l’economia degli Stati Uniti, secondo Jamie Dimon, Ceo di Jp Morgan, «i consumatori continueranno a spendere, e i mercati prevedono un atterraggio morbido. E’ importante notare che l’economia è alimentata da grandi quantità di spesa pubblica in deficit e da stimoli passati. Vi è inoltre la necessità di aumentare la spesa a causa dell’economia green».

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