Romano Prodi
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Paesi emergenti/La sfida dell’India che guarda a Occidente

di Romano Prodi
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Sabato 30 Dicembre 2023, 00:35 - Ultimo aggiornamento: 21:19

L’anno che sta per terminare è stato da più parti definito l’anno dell’India. Una definizione motivata soprattutto dal fatto che, a partire dallo scorso aprile, l’India ha superato il miliardo e quattrocentosessanta milioni di abitanti, diventando il Paese più popoloso del mondo, oltre la Cina. 


Una crescita demografica accompagnata da un parallelo sviluppo dell’economia che, in poco più di dieci anni, è passata dal decimo al quinto posto della classifica mondiale. Oggi il tasso di sviluppo del Paese viaggia intorno al 7% all’anno, ben due punti superiore a quello cinese.

 
La rincorsa indiana degli ultimi anni è stata quindi molto veloce, anche se dobbiamo riflettere non solo sulla strada percorsa, ma anche sul cammino che questo grande Paese dovrà compiere in futuro per inserirsi tra i protagonisti dell’economia e della politica mondiale. La prima difficoltà è nella natura stessa dell’India, dove convivono infinite diversità: non solo fra la maggioranza indù e gli oltre duecento milioni di musulmani che formano la più forte minoranza religiosa, ma anche le tendenze separatistiche di una parte dei Sikh, le infinite differenze linguistiche temperate unicamente dal comune uso dell’inglese, la permanenza di tradizionali divisioni in caste separate e il divario fra un sud con un reddito nettamente superiore a quello del nord. 

A questo si aggiungono una debolissima partecipazione femminile al mondo del lavoro, una burocrazia e un sistema giudiziario più complicati di quello italiano e, nonostante gli incredibili progressi compiuti negli ultimi tempi, l’insufficienza dei tecnici e degli operatori indispensabili perché il cammino di sviluppo possa essere portato a termine con la necessaria continuità.


Sono sfide non facili da vincere, ma l’India ha compiuto enormi passi in avanti raddoppiando in dieci anni il numero di aeroporti, inaugurando ogni dodici mesi mille chilometri di autostrade, facendo progressi in numerosi campi della ricerca e costruendo un apparato industriale che si è dimostrato in grado di attrarre una crescente mole di investimenti stranieri, alcuni dei quali provenienti da imprese che, come Apple, hanno scelto di diminuire la loro presenza in Cina.


Diversamente dal modello di crescita cinese, l’India non sta concentrando il suo sviluppo quasi esclusivamente sul settore industriale, ma punta con altrettanta enfasi sul terziario, a cominciare dal vastissimo campo dell’informatica fino al settore cinematografico, mentre assai più difficile del previsto si sta dimostrando la riforma dell’agricoltura, nonostante il forte aumento della produzione di riso.


I punti deboli di questo sviluppo tumultuoso sono principalmente tre. Il primo è l’aumento delle disparità non solo tra sud e nord, ma soprattutto tra ricchi e poveri: il 10% di indiani possiede quasi l’80% della ricchezza nazionale e la classe media gioca ancora un ruolo secondario nell’ambito del Paese, raggiungendo appena il 5% della popolazione. 


Il secondo punto debole riguarda l’involuzione della più grande democrazia del mondo verso forme sempre più autoritarie e un controllo sempre più stretto della società, volto non solo a limitare lo spazio a ogni tipo di minoranza e di dissenso, ma anche, in molti casi, a coprire diffusi comportamenti di corruzione.

Il terzo grande problema riguarda il livello dell’inquinamento, che pervade tanto l’invivibile area delle grandi metropoli quanto l’impraticabile acqua dei fiumi. Un inquinamento che sta producendo conseguenze negative di carattere sanitario con pochi confronti al mondo. Se dovessimo simbolicamente indicare uno Stato ancora profondamente radicato nell’era del carbone questo è certamente l’India: la stessa Nuova Delhi è nutrita da una ferrea e pervasiva corona di centrali a carbone. 


Senza dimenticare, infine, il deficit del bilancio pubblico, reso sempre più problematico dal crescente peso del welfare e dei necessari sussidi alimentari. Con tutte queste sfide e tutti questi problemi, ma con 700 milioni di cittadini al di sotto dei 25 anni e con un quinto della nuova forza lavoro mondiale, questo grande Paese sarà in ogni caso tra i protagonisti del futuro quadro economico e politico globale.


L’ultima osservazione deve riferirsi a come l’India stia usando questo suo crescente ruolo. Naturalmente l’obiettivo degli Stati Uniti (e non solo degli Stati Uniti) è quello di usare l’India come baluardo contro la Cina, cercando soprattutto di contenerne la sua crescente influenza nel Sud-Est Asiatico, cominciando dal Pakistan. 
L’ambizione indiana ha invece come primo obiettivo quello di divenire il leader del cosiddetto “Sud Globale”, continuando a mantenere con la Russia il tradizionale rapporto di collaborazione nel settore militare che aveva con l’Unione Sovietica, ma intensificando nello stesso tempo le relazioni economiche e politiche con l’Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti.


L’intenzione indiana è quella di sostituire la Cina nei vecchi rapporti con Paesi come la Germania e il Giappone, ma sostenendo nel contempo l’economia russa con massicci acquisti di petrolio. In fondo si tratta di un aggiornamento della vecchia dottrina dei Paesi non allineati, con il disegno di riparare, ma non rivoluzionare, l’ordine mondiale. 
Un obiettivo raggiungibile solo se, da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, vi sarà una forte volontà di venire incontro alle necessarie riforme degli ordinamenti globali. In un mondo solo dedicato allo scontro, come è quello di oggi, le possibilità di interpretare le frustrazioni e le aspettative del “Sud Globale” rimangono infatti più nelle potenzialità del consolidato gigante cinese che non nelle aspirazioni del nascente gigante indiano. 

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