Criminalità, affari e scontri legati al traffico di droga. Il vertice in Prefettura con Piantedosi

Criminalità, affari e scontri legati al traffico di droga. Il vertice in Prefettura con Piantedosi
di Giovanni Del Giaccio
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Venerdì 29 Marzo 2024, 08:27 - Ultimo aggiornamento: 09:56

È la criminalità organizzata a destare la maggiore preoccupazione in provincia di Frosinone. Di questo si è parlato, a lungo, nel corso del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica presieduto dal ministro dell'interno, Matteo Piantedosi. Nei giorni scorsi era stato il sindaco, Riccardo Mastrangeli, a chiedergli di far sentire ancora di più la presenza dello Stato nel capoluogo ciociaro dopo l'omicidio tra la gente allo "Shake bar" del 9 marzo scorso. Un fatto devastante per la città. La risposta del responsabile del Viminale non s'è fatta attendere.

Una riunione convocata a strettissimo giro, nel corso della quale sono state sviscerati i problemi del territorio partendo proprio dall'omicidio, quello che in un video diffuso ai giornalisti presenti il ministro ha definito come «grave episodio» dal quale si è partiti e che «ha dato l'opportunità di fare una ricognizione generale dei problemi di questo territorio, ringrazio il prefetto, i procuratori, i rappresentanti delle forze di polizia, abbiamo fatto un'analisi molto importante dei temi che affliggono il territorio che vanno dalla presenza di spacciatori, un traffico di sostanze stupefacenti e l'incrocio col tema delle occupazioni abusive, di alcune presenze problematiche e ci siamo dati anche delle scadenze che poi il prefetto porterà al tavolo di coordinamento per degli interventi mirati».
Nessuna dichiarazione all'uscita ma la diffusione di una nota che ribadisce il contenuto del video: «Nel corso dell'incontro è stata effettuata un'attenta analisi della situazione della provincia e sono state individuate mirate azioni per contrastare i fenomeni che maggiormente affliggono il territorio, tra cui le occupazioni abusive e lo spaccio di droga».

IL QUADRO

Una sintesi che per forza di cose deve essere generica, ma proprio partendo dall'episodio degli spari è stata affrontata la situazione del capoluogo e della provincia più in generale. Non è un mistero che la criminalità albanese si sia "saldata" a quella calabrese e sia ritenuta particolarmente affidabile. Nella relazione all'inaugurazione dell'anno giudiziario il presidente della Corte d'Appello, Giuseppe Meliadò, aveva evidenziato che «per quantità e qualità dei fenomeni che si sono progressivamente radicati anche nel territorio di Frosinone, la realtà criminale del Lazio è oramai comparabile a quelle delle capitali storiche' della criminalità organizzata del Paese». E il traffico di droga - come dimostra sempre il delitto di via Aldo Moro - è quello a convogliare i maggiori interessi di una criminalità che non si fa scrupoli. Se per il delitto è in carcere un ragazzo di 23 anni e il quadro probatorio sembra ormai definito, sul movente gli investigatori hanno pochi dubbi: Kasmin Kasem, la vittima (27 anni) e il gruppo arrivato allo "Shake" insieme a lui, avevano interessi nel mondo del traffico di stupefacenti così come Mikea Zaka che ora si trova presso la casa circondariale di Frosinone con l'accusa di omicidio e triplice tentato omicidio.
Semplici "galoppini" o qualcosa di più? La seconda, sicuramente, perché non si dispone di somme ingenti come quella trovata in casa dell'assassino (oltre 20.000 euro) né si è coinvolti in traffici rilevanti in passato se non si ha uno spessore credibile. E dietro quel traffico non c'è la criminalità comune, appunto, ma quella organizzata che in particolare nel capoluogo e nella zona nord della provincia fa riferimento alla ndrangheta, mentre in quella sud - più influenzata anche geograficamente dalla Campania - alla camorra. Questioni che sono note da tempo e che in alcuni casi sono finite dalle procure di Frosinone e Cassino anche all'attenzione della direzione distrettuale antimafia. Il segno, tangibile, della presenza di organizzazioni criminali tradizionali anche nel territorio ciociaro, del salto di qualità della delinquenza locale e della sempre maggiore attività dei clan provenienti dall'Albania ma ormai radicati in Italia grazie anche a giovani - come quelli coinvolti nel delitto del 9 marzo - nati e cresciuti nel nostro Paese.
Giovanni Del Giaccio
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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