Discoteca, la pista si svuota: «I giovani ora ballano altrove»

La crisi dei locali da ballo, non solo in Italia. Questa estate gli ingressi sono calati del 30% rispetto al 2022. La Generazione Z cerca altro

Discoteca, la pista si svuota: «I giovani ora ballano altrove»
di Mirco Paganelli
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Lunedì 28 Agosto 2023, 01:08 - Ultimo aggiornamento: 07:38

RIMINI Non brillano più le luci dello stroboscopio come un tempo, quando la discoteca era il perno del divertimento notturno. Quest’estate in Italia gli ingressi sono stati addirittura il 30% in meno rispetto all’anno scorso. Un dato significativo su cui può avere inciso il generale calo del turismo e l’inflazione. Negli anni scorsi c’è stato il tracollo con la pandemia, ma un certo calo è stato osservato da prima. Dopotutto l’offerta d’intrattenimento si è negli anni diversificata. Alla Generazione Z piace frequentare ristoranti – diventati sempre più curati – e sono esplose mode come chiringuiti, feste in campagna e feste in villa, non sempre, però, all’insegna della legalità. «L’abusivismo dilaga», denunciano i gestori dei locali da ballo. Ma è solo colpa della concorrenza sleale o siamo entrati in una nuova epoca? Durante la pandemia le discoteche sono state le prima attività a chiudere e le ultime a riaprire. Oltre al danno economico, si sono perse “annate” di giovani che non hanno maturato l’abitudine alla pista da ballo, bensì alla movida da strada, agli eventi all’aperto, meglio se gratis.


LA TENDENZA
«Sono cambiate le mode e i costumi», spiega Andrea Esu, fondatore di Spring Attitude, il festival che a Roma richiama ogni anno migliaia di appassionati. «Il fulcro è l’esperienza, condividere la stessa passione con altri che si ritrovano in uno stesso posto. Il nostro rimpianto? Woodstock», rivela Esu. Il motivo di aggregazione non è più solo il luogo fisico: conta l’esperienza, la qualità dell’offerta. «Nel settore c’è una stanca generale – ammette Tito Pinton, da 30 anni imprenditore del settore con due locali a Padova - e poi ci sono gli improvvisati che aprono e chiudono, ma oggi conta la qualità. Se la tieni alta, lavori». 


Però non si fanno più i numeri di serate di un tempo. A Riccione lo storico Cocoricò teneva aperto praticamente tutte le sere d’estate.

Quest’anno si è limitato a 20 serate. «Non possiamo più fari i numeri di un tempo perché c’è un calo demografico – spiega ancora Pinton -. Gli anni del Boom economico hanno riempito i locali fino agli anni ’90. Oggi quei numeri non si posso più fare perché mancano i giovani». Per loro, poi, si è moltiplicata l’offerta alternativa, come pub e chioschi con dj set e musica fino a tardi. Non tutti con la licenza per il ballo.


«Non è il modello discoteca ad essere in crisi, ma il mercato delle discoteche», puntualizza il presidente del Silb-Fipe Emilia-Romagna Gianni Indino. La causa? «Il proliferare dell’abusivismo. Non possiamo fare più di una serata a settimana per via dei molti eventi illegali persino ben visti da una parte della società», sostiene Indino, che chiede rispetto per l’industria delle notte. «Genera posti di lavoro – ricorda -. Oggi ci vuole coraggio per investire in una discoteca quando il locale vicino fa l’abusivo e le amministrazioni fanno spallucce», denuncia.


IL TAGLIO
A Rimini il crollo delle discoteche è in atto da tempo. Paradiso, Embassy, Bandiera Gialla, Melody Mecca, Slego, Velvet, Io... hanno chiuso tutte. In città ne restano solo quattro, eppure qua negli anni il turismo è aumentato.
Sono invece proliferati, come in tutto il Paese, i ristoranti di ogni sorta, gettonati anche dai giovanissimi. Se un tempo si mangiava una pizza al taglio o una piadina prima di andare a ballare, ora si spendono 30-40 euro per una cena, al termine della quale non tutti sono intenzionati a spenderne altrettanti tra ingresso in discoteca e consumazione.


I locali da ballo, dunque, sono in declino? A rilevare il fenomeno è stato di recente anche lo storico direttore di Radio Deejay, Linus, da anni presente a Riccione con i concerti della sua radio. Lui ha più volte parlato di una «mancanza di visione imprenditoriale» in Italia rispetto all’estero. Lì «le cose vanno molto meglio».

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