Caserme al Sud, Lega e M5S divisi: «È un business»

Caserme al Sud, Lega e M5S divisi: «È un business»
di Antonio Calitri
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Martedì 14 Agosto 2018, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 15 Agosto, 08:24
ROMA Il riordino della distribuzione delle caserme militari sul territorio italiano al Sud, lanciato ieri sul Messaggero dal ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, potrebbe comportare nei prossimi anni una movimentazione da Nord a Sud di almeno il 30% dei militari. Un’operazione che dopo le preoccupazioni del ministro per l’ondata di suicidi (14 fino all’8 agosto, di cui 6 nel solo esercito) oltre a portare benefici psicologici ai militari che non sarebbero più costretti a stare lunghi periodi lontani dalle famiglie, avrebbe enormi ricadute economiche nel Mezzogiorno.

GLI INTROITI 
A partire da quanto spenderebbero sul territorio i militari, che secondo uno studio dell’Us Army Italy sulle ricadute dei 12 mila militari americani di stanza nella base di Vicenza, vedrebbe oltre 15.000 euro di trasferimento annuo a persona. Che se applicato agli italiani porterebbe al Sud oltre 400 milioni di euro ogni anno, ai quali andrebbero aggiunte le somme necessarie per la costruzione di nuove caserme e quelle dei servizi per il loro funzionamento. Un’operazione che trova il plauso del M5s che nel Mezzogiorno ha il serbatoio elettorale più importante con la senatrice pentastellata Alessandra Maiorino, della Commissione Difesa di Palazzo Madama, che si è detta felice che il ministro Trenta «intenda avviare un piano per incrementare il sostegno psicologico al personale militare e facilitarne i ricongiungimenti familiari». Non è d’accordo chi presidia il territorio dell’Italia settentrionale come Massimiliano Fedriga, governatore leghista del Friuli Venezia Giulia, la regione settentrionale maggiormente militarizzata che spiega al Messaggero che «da qui non si sposta un militare» e che se qualcuno davvero vuole fare questo «troveremo il modo di farci ascoltare». Non si tratta di ragione economiche, continua il governatore, ma «bisogna tener conto che questa resta sempre una regione di confine, interessata dai flussi migratori della rotta balcanica e per questo presidiare i confini è importante anche perché, se si respingono i migranti sul confine, non li si rimanda a casa loro ma solo nel paese confinante». Dubbi più velati anche dal governatore del Veneto Luca Zaia: «Nessuna polemica, allora dobbiamo interrogarci sul ruolo dell’esercito in generale». Guardando i dati e considerando che Marina e Aeronautica sono maggiormente condizionate dalla dislocazione di porti e aeroporti militari, l’attenzione va all’esercito e alle 470 caserme attive, per la maggior parte concentrate nel Nord.

IL REPORT 
Uno squilibrio segnalato dagli stessi militari nel Report 2017 dove «analizzando i dati relativi alla regione di nascita emerge chiaramente una discrasia con quella di impiego essendo infatti il 49% del personale proveniente dal Sud Italia dove in realtà si attesta solo il 17% delle posizioni organiche». Stessa cosa vale anche per le isole mentre, continua il report, «in controtendenza i dati riferiti al Centro e al Nord, dove in quest’ultimo caso il 10% del personale originario non è sufficiente a ricoprire il 40% del totale delle posizioni delle unità organizzative ivi dislocate». Dall’analisi fatta su 92.837 militari (sono stati esclusi i 2.489 nati all’estero), la Campania è il primo “fornitore” di militari del Paese con i suoi 25.329 (oltre il 27%), la maggior parte impegnata fuori regione visto che sul territorio l’esercito conta soltanto 8.739 persone. A seguire c’è la Puglia con 15.550 militari e un assorbimento regionale di 6.336 e la Sicilia con 14.456 siciliani e 5.433 sul territorio. Discorso opposto al Nord. Dal Friuli Venezia Giulia che ha 9.100 militari sul territorio e solo 1.431 originari della regione nell’esercito, all’Emilia Romagna, senza confini da difendere, con 6.535 militari sul territorio e soltanto 786 di provenienza dalla regione. 
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