Cancellati i murales dei boss «Offendevano i romani onesti»

Cancellati i murales dei boss «Offendevano i romani onesti»
di Marco Pasqua
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Mercoledì 23 Maggio 2018, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 08:27
ROMA All’una di notte, una qualsiasi notte, in via Quaglia, enclave dello spaccio nel cuore di Tor Bella Monaca, estrema periferia Est della Capitale, ci sono solo le vedette dei signori della droga. Ragazzini, anche minorenni, che stazionano nei punti nevralgici o sui balconi, per segnalare ai boss eventuali minacce incombenti. Come hanno fatto l’altra sera, quando una carovana di 30 auto, tra blindati e furgoni di vigili urbani, polizia e carabinieri - oltre 150 uomini in divisa e in borghese - è piombata in questo angolo di città dove le buche e la spazzatura strabordante dai cassonetti rappresentano il male minore. 

Un blitz in piena regola, sotto la regia della Prefettura, voluto dal sindaco, Virginia Raggi, per cancellare i “murales della vergogna”, monumento celebrativo alla criminalità organizzata: la gigantografia di Serafino Cordaro, il boss ucciso 5 anni fa in un agguato, e quella di Antonio “Tony” Moccia, figlio di Vincenzo, reggente della colonna romana del clan camorristico di Afragola, scomparso nel 2012. Cordaro e Moccia, qui, sono le famiglie che si spartiscono il territorio. E gli affari. E nessuno, fino ad oggi, aveva mai “osato” cancellare quei simboli, quasi indelebili, del potere della criminalità. 

VIE BLINDATE
Il primo murale è al complesso di case popolari R9: una gigantografia del boss con la scritta «Sei il nostro angelo». All’ingresso della palazzina che lo ospita, campeggia un’altra ostentazione del potere del clan: una dedica, stampata su un poster, firmata dai nipoti del boss. «Ciao zio Serafino, vorrei solo un tuo abbraccio a illuminarmi la notte, quando ho paura», firmato «Teresa, Emilio, Josè». Ed è da questo poster che inizia quella potrebbe chiamarsi “notte della legalità”: gli agenti della Municipale, diretti da Antonio di Maggio, lo strappano dalle grate, tra le urla di quanti osano affacciarsi alle finestre, sfidando apertamente lo Stato. «Se lo togliete fatelo prendere a me!», grida una donna, presumibilmente una parente di Cordaro. Gli agenti, alcuni con giubbotto antiproiettile, temono che le vedette possano guidare una rivolta. Basta davvero poco: gli sguardi dei poliziotti, in tenuta antisommossa, sono tesi. Sanno di essere visti come dei nemici. La strada è stata sbarrata, sui due ingressi, da sei camion dei vigili: servono anche a bloccare la visuale dall’esterno. Una scena che ricorda, neanche vagamente, i checkpoint militari di Kabul per scongiurare le autobombe. Solo che qui sono anche i palazzi ad essere una polveriera, queste case trasformate, spesso, in magazzini per la droga o ricovero per pregiudicati e latitanti. Raggi arriva quando i suoi uomini hanno ricoperto con una vernice grigia il murale: «Con questa operazione vogliamo dimostrare che le istituzioni sono presenti, che qui c’è ancora la legge: e in questo quartiere, dove stanotte non circola nessuno, torneremo. Quei murales rappresentavano un affronto contro tutti i cittadini onesti». 

IL FIGLIO DEL BOSS
La seconda gigantografia è a pochi chilometri di distanza, in via Aspertini, e mostra il volto di Tony, morto sei anni fa in un incidente stradale. Anche qui ci sono i lampeggianti blu ad illuminare il vialone di un altro complesso di case popolari, l’R5. Un’auto sfreccia su una strada limitrofa, una donna si sporge dal finestrino e urla «bastardi», all’indirizzo dei poliziotti. «Ho voluto assistere di persona a questa operazione – dice Raggi - perché è un dovere essere al fianco delle persone oneste, per far capire che le istituzioni non abbassano lo sguardo davanti alla criminalità. Inizia da qui un nuovo percorso della legalità che non sarà né semplice né veloce, ma ci auguriamo sarà inesorabile». E lo sa anche il comandante dei vigili, Di Maggio, che qui, su indicazione della prima cittadina, ha lasciato un presidio fisso dei suoi uomini. Che, il giorno dopo la rimozione di quell’ostentazione del potere dei Cordaro e dei Moccia, ha raccolto gli sguardi di sfida di parenti e amici dei boss. Ma «se domani i disegni dovessero tornare – promette il sindaco – torneremo anche noi con i secchi di vernice a gridare che lo Stato c’è e gli eroi non sono i boss della malavita ma coloro che tutti i giorni lottano per il rispetto delle regole e per lasciare ai nostri figli una società più giusta». 
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