Michele Merlo, la famiglia lascia Rosà: «La sindaca ci dice di vergognarci, il paese è diventato ostile»

A parlare è il padre dell'ex cantante di Amici, Domenico Merlo: lui e i familiari avevano accusato il medico del paese di negligenza nella cura del figlio.

Michele Merlo, 2 anni dopo la morte la famiglia lascia Rosà: «La sindaca ci dice di vergognarci, il paese è diventato ostile»
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Giovedì 8 Giugno 2023, 12:19

Soli, abbandonati da tutti e costretti a scappare. É il triste destino della famiglia Merlo, dopo la morte del giovane Michele, l'ex cantante del talent show "Amici" deceduto a soli 28 anni per colpa di una leucemia fulminante. Oggi è sepolto nel cimitero di Rosà, in provincia di Vicenza.  

Da quel drammatico 6 giugno 2021, molte cose sono cambiate per i familiari della vittima. In primis il loro rapporto con la comunità di Rosà, dove tutt'ora risiedono, ancora per poco: in un'intervista al Corriere del Veneto, Domenico Merlo, padre del compianto cantante, ha annunciato la volontà di trasferirsi a Bassano del Grappa con il resto della famiglia: «Non pensavamo di arrivare a sentire ostile il paese in cui abbiamo sempre vissuto. Abbiamo preferito andarcene. Rosà non è più casa nostra».

Soli contro tutti

A detta di Domenico, lo strappo tra i Merlo e i compaesani si sarebbe consumato quando i familiari del cantante hanno iniziato a indagare sulle responsabilità di quel decesso così improvviso e tragico. Cosa che li ha spinti a intentare una causa legale contro il medico del paese, Vitaliano Pantaleo, conosciuto e stimato in tutta la comunità rosatese. Secondo l'accusa, il medico avrebbe sottostimato i sintomi del cantante (alcuni ematomi sparsi sul corpo e una sensazione persistente di malessere fisico) giungendo a una diagnosi errata, che avrebbe ridotto a zero le sue chance di salvezza. 

 

Se inizialmente gli abitanti di Rosà si erano dimostrati solidali con la famiglia del cantante, dopo l'avvio delle indagini della Procura nei confronti del medico di paese (ad oggi unico indagato per la morte di Michele) il loro atteggiamento sarebbe cambiato in fretta.

Fino a diventare ostile. Domenico racconta che perfino la sindaca, Elena Mezzalira, «Ci ha detto di vergognarci, perché forse pensa che il nostro sia un accanimento contro il medico del paese. Ma non è affatto così».

Nel dicembre 2022 era già accaduto un altro grave episodio, che ha avuto quasi certamente un peso rilevante nella decisione dei Merlo di scappare via da Rosà: il saccheggio della Tomba di Michele. Su Instagram Katia Ferrari, madre della vittima, aveva denunciato la scomparsa di un anello con sopra una "M", di una tazza e alcuni mazzi di fiori. 

«Ci hanno tacciato di essere cattive persone perché avremmo tentato di attribuire colpe al medico del paese. Però ci sono le relazioni di quattro medici legali a testimoniare che nei confronti di nostro figlio c’è stata una negligenza, un errore - si sfoga Domenico - Non vogliamo la testa di nessuno e tanto meno cerchiamo vendetta. Non abbiamo nessuna intenzione di accanirci contro un medico, un professionista stimato da tutti e che peraltro è ancora il mio medico. Tutti, però, sappiamo che due anni fa bastava prescrivere un emocromo per individuare subito la patologia che ha ucciso Michele». Insomma, una normale analisi del sangue avrebbe salvato la vita del figlio. 

L'indagine

Michele Merlo si era presentato nello studio del dottor Pantaleo il 26 maggio 2021, con un grosso livido alla gamba: secondo quanto riferito, era stato inizialmente attribuito a un trauma, e dunque trattato come tale. Nella memoria inviata alla Procura il legale della famiglia sosteva che «sussistono i presupposti per l'esercizio dell'azione penale, per la presunta condotta gravemente colposa del medico, dato che - sostiene l'avvocato Marco Dal Ben - il trattamento del paziente sarebbe potuto iniziare già la mattina del 27 maggio».

La difesa di Pantaleo finora ha fatto notare che l'errata diagnosi era scaturita proprio da un suggerimento errato di Michele, che sosteneva che quel livido fosse stato causato da una «botta». Fatto che avrebbe spinto il medico a non approfondire il sintomo con ulteriori esami. La difesa ha sostenuto anche che «ammesso e non concesso che di diagnosi sbagliata si possa trattare», anche se fosse stata individuata subito la patologia che affliggeva il giovane Michele, il range temporale tra diagnosi e cura sarebbe stato probabilmente «troppo ridotto» per evitare la morte del cantante. La Procura sta ancora valutando se chiedere il rinvio a giudizio l'archiviazione dell'inchiesta.

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