«L’Iran prepara bombe atomiche». Israele, la mossa di Netanyahu

di Fabio Nicolucci
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Martedì 1 Maggio 2018, 00:39 - Ultimo aggiornamento: 00:55
Più si avvicina la data di metà maggio, entro la quale Trump deciderà se mantenere o meno l’accordo sul nucleare con l’Iran, e più inevitabilmente si alza la tensione da parte di chi quell’accordo lo ritiene inutile, o pericoloso, o tutte e due le cose insieme.

Tra questi il falco tra i falchi è senza ombra di dubbio il premier israeliano Benjamin Netanyahu, e non da oggi. Ma l’annuncio fatto ieri sera, in tempo per avere senza repliche le aperture dei notiziari serali, è drammatico e segnala un ulteriore passo nel duro scontro che Israele sta cercando con l’Iran, che l’esercito israeliano ha tematizzato come “la guerra fra le guerre”. 

Perfino nella già tesa situazione di reciproche punzecchiature tra Iran e Israele nel campo siriano, infatti, con bombardamenti israeliani di postazioni iraniane da una parte e pressione sul terreno sempre più vicino al confine nord di Israele dall’altra, l’annuncio di essere in possesso di prove che l’Iran abbia un programma nucleare segreto e stia progettando 5 testate nucleari, il tutto corroborato da supporti digitali e video forniti dall’intelligence israeliana, è un dato in grado di cambiare tutto il quadro politico e dunque militare di questo scontro. 

Lo è comunque, sia nel caso queste prove siano effettivamente una pistola fumante, e mostrino a tutti gli ingenui la inaffidabile doppiezza alla “nordcoreana” di un regime che a Ginevra parlerebbe una lingua e nel frattempo preparerebbe l’Armageddon, sia nel caso invece che questo annuncio sia una tardiva replica delle fiale mostrate nel 2003 da Colin Powell al mondo intero in sede Onu come prova del programma di armi chimiche iracheno. 
Una “prova” che poi fu la spinta decisiva a vincere i molti dubbi internazionali all’invasione dell’Iraq, e che costrinse per qualche anno la Cia a cercare inutilmente un programma non più attivo da anni, con dispendio di energie e di vite di militari statunitensi. 
I contorni dell’annuncio di Netanyahu sono del resto ancora sfuocati, e non è dato sapere se le evidenze del “programma Amad” iraniano siano letterali, oppure sfumeranno nei prossimi giorni per risolversi in una più indistinta situazione di pericolo generico e di prospettiva, magari riferendosi ad un periodo precedente all’accordo sul nucleare. 
In ogni caso, l’effetto politico di drammatizzare la scelta di fronte a Trump, se mantenere in piedi l’accordo sul nucleare con l’Iran oppure andare verso il suo superamento avrà avuto successo. Perché le mossa di Netanyahu, un premier abile ma in crescente difficoltà sul piano interno, stretto tra una montante destra religiosa sempre più aggressiva e una serie di scandali personali che lo hanno assai indebolito, ha una doppia efficacia.
La prima, mira naturalmente a Trump, che in questo caso ha in mano il boccino. Fallita infatti la ipocrita strada di far chiedere “miglioramenti” o “emendamenti” o la riscrittura di alcune parti dell’accordo, perché è apparso subito chiaro ai governi europei partner dell’accordo come ciò sarebbe stato impossibile da sostenere per quella parte della “moderata” leadership iraniana ora al potere che sull’accordo si è giocata tutto il proprio capitale politico di fronte ai propri falchi interni che lo vorrebbero abrogare, Netanyahu torna al bersaglio grosso: l’abrogazione. 


Il secondo effetto utile che deriva da questo drammatico annuncio di Netanyahu è poi astutamente proprio l’effetto che potrebbe avere nella politica interna iraniana. Anche in Iran, infatti, esiste una opposizione a questo accordo. Che la destra reazionaria filo-Ahmadinejad ora fuori dal governo ha dipinto come una “svendita” del proprio orgoglio nazionale. Una parola che a molti iraniani suona convincente, soprattutto nel contesto di effetti benefici ancora intermittenti. Mentre la valuta iraniana è in caduta libera per effetto di una grave crisi economica, dovuta alle sanzioni ma anche allo sforzo di proiezione politica e militare nella regione, prima con la guerra all’Isis in Iraq e poi con l’impegno nello Yemen e in Siria e in Libano. 
Anche dunque nel caso l’annuncio sia più serio delle prove effettivamente disponibili, Netanyahu potrà quindi segnare un conto positivo dell’operazione. Ma in questo caso sarà il prestigio dell’intelligence israeliana ad uscirne malconcio. Una mossa azzardata non solo nel medio e lungo termine, ma anche in quello a breve dell’infuocata “guerra tra le guerre” che si sta combattendo in Libano e in Siria. 
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