Il premierato avrà effetti sul sistema dei partiti

di Alessandro Campi
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Lunedì 4 Maggio 2015, 23:50 - Ultimo aggiornamento: 5 Maggio, 00:03
Per brutto o sbagliato che lo si voglia considerare, il nuovo sistema di voto voluto da Matteo Renzi e dal suo governo - il cosiddetto Italicum - è stato approvato in via definitiva dal Parlamento. Anche se con una maggioranza risicata, un significativo dissenso all’interno del Pd e le opposizioni tutte fuori dall’aula. Dopo la firma del Presidente della Repubblica, che potrebbe arrivare già oggi, diverrà legge dello Stato e con esso gli italiani saranno chiamati a votare al prossimo appuntamento con le urne.

A questo punto, le polemiche e le speculazioni sulle ragioni politiche o sui calcoli opportunistici che ne hanno ispirato l’impianto, per molti versi eccentrico nel panorama dei sistemi di voto europei, dovrebbero lasciare il posto, almeno per qualche tempo, alla discussione sugli effetti - dal punto di vista politico e istituzionale - che questa nuova normativa potrebbe ragionevolmente determinare. Difficili in effetti da prevedere.

Consentirà, per cominciare dal lato politicamente più prosaico, una navigazione finalmente più tranquilla all’esecutivo o finirà per causare la fine anticipata della legislatura? Renzi ha più volte minacciato le urne nel caso la nuova legge non fosse stata approvata. Il paradosso è che potrebbe essere tentato dal voto anticipato proprio adesso che ha conseguito il risultato. Avrebbe in effetti più di una ragione per andare al voto prima del 2018.

Darebbe maggiore forza e legittimità al suo piano di riforme - che comincia a incontrare non pochi ostacoli, come dimostra quella contestatissima della scuola, per non dire della perdurante crisi economica - facendosi consacrare da un voto popolare. Offrirebbe poco tempo alle opposizioni - in particolare a quella di centrodestra - per riorganizzarsi: l’avversario va colpito quando è più debole.



Neutralizzerebbe in via definitiva il dissenso interno al suo partito, che al momento riguarda soprattutto i gruppi parlamentari, e che certo non mancherà di farsi nuovamente sentire. Naturalmente, stante la clausola temporale prevista dalla stesse legge, un simile scenario non sarebbe praticabile sino al luglio del 2016. Ma un anno passa in fretta.

Più interessanti da valutare sono però gli effetti politici generali, o per così dire di sistema, che questa legge sembrerebbe destinata a produrre. Non c’è dubbio che essa introduca una sorta di “premierato”, vale a dire una vera e propria elezione diretta del capo del governo. Col premio di maggioranza dato alla lista vincente (al primo turno se ottiene il 40% dei voti, in caso contrario al ballottaggio) il segretario del partito vincente accederà a Palazzo Chigi con una formula che è stata pensata alla stregua di un plebiscito. Essendosi per di più scelto, secondo criteri di fedeltà politica e personale, i deputati che dovranno sostenerlo alla Camera. Partiti personali, come sono ormai da un pezzo quelli italiani, non possono che produrre governi personali.



Renzi, si può dire, ha raccolto da sinistra ciò che Berlusconi ha seminato da destra. Quest’ultimo si era dovuto accontentare di vedere il proprio nome scritto sul simbolo di partito contenuto nella scheda elettorale. E già era parsa una forzatura (o, se si vuole, una scaltra innovazione) rispetto all’impianto parlamentarista della nostra Costituzione. Il suo giovane emulo, superato il tabù che la sinistra coltivava verso la politica personalizzata e carismatica, è andato oltre: è riuscito, nel nome della governabilità e della stabilità, a far approvare una legge elettorale che modifica de facto la forma di governo in senso presidenzialistico. Non è un cambio costituzionale, ma certamente una significativa innovazione istituzionale, che sembra aprire una fase nuova nella storia dell’Italia repubblicana. Non un attentato alla democrazia, come si dice polemicamente, ma certamente una democrazia diversa da quella che abbiamo lungamente conosciuto e che potrebbe produrre non pochi attriti nel suo funzionamento ordinario.



Ma questa legge, ora che è stata approvata, dovrebbe indurre nuovi rapporti e nuove dinamiche anche all’interno del sistema dei partiti. Essa, checché ne dicano i suoi solerti fautori, non sembra essere stata pensata per favorire il bipolarismo e l’alternanza tra forze (diversamente si sarebbero consentiti gli apparentamenti tra liste al ballottaggio), ma per produrre un vincitore (forte) a fronte di una serie di perdenti (deboli e divisi). Quasi a voler cristallizzare, a beneficio del Pd oggi egemone sulla scena politica nazionale, la situazione che abbiamo in effetti sotto gli occhi.

Ma la politica è dinamica per definizione e spesso imprevedibile. Qualcosa potrebbe dunque cambiare, rispetto al panorama attuale, proprio grazie a questa nuova legge elettorale. Difficile, ad esempio, che a questo punto non si aggrumi a sinistra del Pd una formazione politica che raccolga tutti coloro che si oppongono al nuovo corso renziano e che non si accontenti del misero 3% previsto dalla legge per entrare in Parlamento. Non dunque un partitino di sinistra radicale, che sarebbe un regalo fatto a Renzi e che già esiste, ma una forza che sia direttamente competitiva con un Pd accusato, non senza ragioni, di scivolare sempre più verso il centro.

Così come è prevedibile che il centrodestra, a meno di non volersi vocare ad una perpetua marginalità o ad una crescente frammentazione, qualcosa s’inventi per cercare di contrastare il suo avversario di sinistra. Certo, non sarà facile trovare un federatore del fronte cosiddetto moderato che abbia la tempra di Berlusconi, ma quella dell’unità è la strada che il centrodestra dovrà obbligatoriamente percorrere proprio in virtù della nuova legge elettorale.



Quanto al M5S può, sondaggi alla mano, ragionevolmente coltivare l’ambizione di andare al ballottaggio contro Renzi, specie se il centrodestra continuerà nelle sue risse odierne. Questo però li obbliga a smetterla con l’estremismo verbale e la lotta senza quartiere contro il sistema. I grillini, stimolati dalle opportunità che questa legge elettorale sembra offrire loro, potrebbero evolvere, senza perdere le loro specificità, in una chiave più pragmatica e propositiva, più aperta al confronto e alla mediazione. Già oggi, ideologicamente trasversali, riescono a parlare all’arrabbiato o deluso di destra come a quello di sinistra. Che succederebbe, in un ipotetico ballottaggio con Renzi, se si presentassero al giudizio degli italiani con un candidato premier che non sia un invasato, ma una faccia pulita e credibile, e magari anche politicamente preparato e competente?

Abbiamo dunque una nuova legge elettorale e con essa la politica italiana deve ora fare i conti. Resta solo da capire come funzionerà e soprattutto se funzionerà secondo i desiderata di chi l’ha fortemente voluta.